martedì 16 dicembre 2014

Limone.

     Butto una mano sul telefono per farlo stare zitto e le placide dita dell'acqua cercano di fare breccia tra i buchi. Una luce grigia traspare e ha la voce di gocce di pioggia non troppo pesanti che cadono sui motorini, sulle inferriate e sui cassonetti costantemente aperti. Non sarà un risveglio splendido, ma sicuramente migliore di quello dei cori da funerale delle cornacchie. Sono le nove ed è ora di colazione.

     Di solito metto Chopin, i Foo Fighters, le canzoni degli anni '90 o qualcosa di estremamente brutto di cui mi vergogno di nominare la presenza nelle mie playlist, ma stamattina no. Stamattina non c'è bisogno di nulla, la pioggia cade non troppo piano e non troppo forte, ha uno scroscio perfetto. E' come il rumore del vicino che fa la doccia, è un rumore che non spaventa perchè sai cos'è e da dove viene, non è fastidioso, è calmo e dolce, è una poesia di gocce d'acqua. Concilia la pace fino al momento in cui ricordo che, a procurarlo, è il vicino di casa nudo sotto la doccia. Allora sono brividi di ribrezzo e metto i Pantera per non pensarci più.

    Mi vesto piano per non far rumore, per non rompere tanta delicatezza. Esco di casa e vado al bar, è tutto così tranquillo. Il bar è silenziosissimo, saluto il barista e gli chiedo un caffè e un cornetto. Affondo i miei denti nel cornetto di cartone plastificato e socchiudo gli occhi godendo del silenzio calmissimo. Nel bar siamo soltanto io, lui e la guardia assonnata del turno di notte.

     Un fischio fortissimo parte improvvisamente, penetra ovunque e quasi mi manda di traverso la palla di cartone che stavo masticando. Qualcuno aveva acceso la televisione. Non era un canale a caso, no. Era il canale delle televendite. Quel fischio maledetto era il suono che presentava "la nuova linea di prodotti per rimodellare i calli e i duroni, in una nuova elegante confezione che potrete conservare nel vostro bagno". Dopo aver finito di salvarmi la vita con un colpo di tosse, senza pensarci troppo faccio: -Buon appetito a tutti!-. Quasi quasi, era meglio il vicino nudo sotto la doccia.

     Esattamente in questo modo, in questo preciso modo le persone acide si presentano nella nostra vita. Uno è tranquillo per fatti suoi, sta benissimo e la sua giornata è iniziata nel migliore dei modi, finchè una persona acida irrompe nella sua scena e gli rovina tutto. Sfodera la sua lingua affilata e colpisce a destra e a manca per il solo gusto di sentire il sapore metallico del sangue altrui. E'una setta, la Setta del Succo di Limone. I membri della Setta si svegliano e sono felici alla sola idea di ferire a destra e a manca. Godono del potere che sono coscienti di avere, del talento che hanno da quando sono nati.

      Ti chiederai come faccio a sapere tutto questo. Io lo so perchè anche io ho fatto parte di questa invisibile setta di assassini. Hai presente quel videogioco dove stanno i tizi con il cappuccio che si arrampicano sui palazzi, che si buttano in un covone di fieno appena ne vedono uno, che hanno le spade nei polsi e che non gli puoi dire niente perchè fanno tutto per cazzi loro? Ecco, il loro Credo, il Credo degli Assassini si basa su tre regole: "trattieni la lama dalla carne degli innocenti, nasconditi in piena vista, non compromettere mai la Confraternita". Nella Setta del Succo di Limone è tutto al contrario: "infilza la lama solo nella carne degli innocenti, fatti vedere da tutti e fottitene di chi ti sta intorno, anche di quelli acidi come te". Non c'è bisogno che nessuno ti inizi al sacro rito, ti accorgi di essere parte di questa setta per caso, una volta nella vita.

     Un giorno capita che qualcuno davanti a te ti susciti qualche sentimento positivo, eccessivamente positivo, come se avesse voglia di comunicare al mondo tutta la sua contentezza. Spesso mette molta allegria vedere queste persone, oppure suscita un senso di viscerale odio e voglia di vederle cadere per terra e frantumarsi gli incisivi e i canini. Si palesa così la prima fase di avvicinamento a questa strana tendenza, la fase interiore. E' qualcosa che viene prima di tutto da dentro. E' la fase in cui si stabiliscono i bersagli, le persone e le categorie di persone che predispongono a questa voglia maledetta nel momento in cui entriamo a contatto con loro.

     Non è sufficiente, però, avere una voglia o un bisogno. E' anche importante avere una buona creatività al momento giusto per mettere in pratica i nostri più reconditi desideri cattivi. E' un gradino molto grande in cui subentra il talento e l'esercizio, ovvero, la fase creativa. Solitamente si passa in silenzio questa fase, è una fase ancora interiore, ma stavolta è più attiva del semplice sentimento. Si immagina cosa si potrebbe dire a queste persone, si inventa e si prende nota mentalmente di quelli che ci sembrano migliori. I più talentuosi ci riescono immediatamente, i meno talentuosi possono metterci un po' più fatica, ma anche qui è fondamentale l'esercizio. 

     La terza e ultima fase è la fase della pratica. Aiutandosi con la mentalità, con l'esercizio e, qualche volta, con qualche battuta a cui si è pensato un momento prima, si prova a venire fuori nel discorso. Se il risultato è un timidissimo silenzio, non importa troppo: cadere fa parte dell'esercizio, non bisogna demoralizzarsi e riprovare, magari in un altro momento. A meno che chi avete davanti non sia completamente idiota per non capire la natura del vostro intento omicida, se riuscite nel vostro intento avrete reazioni varie. Se la vittima sarà sufficientemente debole, cadrà davanti a voi senza troppi drammi. Viceversa, se la pensa esattamente come voi finirete solo per ringhiarvi contro vicendevolmente. A quel punto, il marchio della confraternita vuole che non si combatta oltre.

     Sono andato avanti così per un annetto buono, con un successo più che discreto. Poco a poco, però, sono arrivato a capire qualcosa di estremamente interessante. Avere un carattere di questo genere è estremamente stancante. Sono uno che, solitamente, è dalla risposta pronta, ma, a lungo andare, anche chi è talentuoso in questo può stancarsi. E' stancante andare in giro e fare sempre lo stesso giochino con tutti, anche con i casi più succulenti. Ha stancato me e ha stancato anche chi mi stava intorno, probabilmente ha stancato prima me e poi gli altri.

     Spesso chi è acido affascina chi gli sta intorno, viene temuto e rispettato. Vi assicuro, però, non c'è nulla di affascinante nell'essere acidi. Si reagisce bene a moltissime situazioni nella vita, può essere estremamente utile (se non indispensabile) in certi altri momenti, ma, il più delle volte, si finisce solo con il terrorizzare. Spesso, le persone acide sempre dicono di non importarsene nulla degli altri. Non è vero, però, degli altri hanno bisogno nel momento in cui vogliono esercitare le loro capacità. La persona acida dipende molto da chi sta ad ascoltarla e diventa ancora più aspra quando non vede sortire il suo effetto. Non lo ammetterà mai, ma spesso è proprio così. La persona acida potrebbe controllarsi, ma il più delle volte non ha mai imparato a farlo o ha "disimparato" a controllarsi.

     Adesso, il più delle volte sono io a controllarmi. Devo ammettere di non essere mai stato un acido sanguinario, non me la prendevo con tutti. Me la prendevo solo quando venivo attaccato, così come tutte le persone normali fanno. In realtà, in questo tempo ho maturato un'altra tendenza, qualcosa che potrebbe essere relegato al mio carattere oppure può essere qualcosa di estremamente condivisibile. Il più delle volte, quando sono attaccato, se della persona che mi sta attaccando non mi importa niente, il suo attacco non mi fa effetto. Non sono mai stato orgoglioso; probabilmente questo aiuta molto, ma non riesco neanche a pensare di agire. 

      Quando poi, invece, capitano le situazioni in cui me ne frega qualcosa, tendo a pensarci un paio di volte su, tendo a pensare al fatto che chi mi sta di fianco potrebbe reggere poco quello che sto dicendo. Se anche allora non me ne frega un cazzo, allora lascio andare la mia lingua, altrimenti sono anche più soddisfatto se riesco ad evitare un'uscita acida.

     Non voglio demonizzare in alcun modo le persone acide. Con tutto quello di cui ho parlato finora mi riferisco alle persone acide sempre e con tutti, che non sono mai in grado di fermarsi e di cui davvero volentieri sbatteresti più e più volte la testa contro il muro. Voglio solo dire come la penso su di loro, ovvero che, il più delle volte, sono persone estremamente fragili. Hanno poche soddisfazioni nella vita, così poche da rendere questo giochino, per loro, divertente.

     Inoltre, essere acidi è contagioso. E' come le carte dei Pokemon: hai chiesto alla mamma di comprartele solo perchè ci giocavano tutti e, chi non le aveva, era solo uno sfigato. Non siamo ancora arrivati a questo livello, ma di questo passo credo che potremo arrivarci. L'acidità è qualcosa che fa figo, qualcosa che rende inattaccabili, mostra una certa sicurezza in tutto. Per quello che credo, in realtà è solo una bella fregatura. Crea dipendenza, quando inizi non smetti più.

     Spesso mi chiedo come mai ci si sforzi tanto di fare cose così faticose come essere acidi, quando, in realtà, è molto più bello farsi scivolare ogni cosa di dosso. Non è mortale ricevere una piccatina acida, non ha mai ucciso nessuno, non capisco come mai sia così importante cercare a tutti i costi di sapersene difendere. Oltretutto, non dare soddisfazione ad una persona acida è spesso il modo migliore per difendersi dai suoi attacchi. Prima o poi si stancherà e, se non dovesse farlo, non sarà un dramma se a questa persona teniamo davvero. Quello dell'acidità dilagante, però, non è un problema, non è un dubbio che mi disturba troppo e, in verità, non mi viene così spesso.

    Probabilmente è che proprio non me ne frega un cazzo.

giovedì 23 ottobre 2014

Domani.

    Una giornata lunga e faticosa
e di soddisfacente non una sola cosa.
Stanco e depresso, siedi sul letto:
"Domani è un altro giorno, sarà più corretto!"

    Ti addormenti, lieto, di questa certezza
ma di una cosa non hai avuto accortezza:
quando domani siederai sulla tazza
dolori e crampi soffrirai
per quegli stronzi che lascerai.

    "Perchè queste cose dici, o poeta di stocazzo?"
Vi chiedo scusa dell'imbarazzo,
volevo dire solo che è buffa l'ironia
con cui lasciamo una giornata da buttar via.
"Domani è un altro giorno", osiamo dire,
come se, ciò che resta di quello prima,
non fosse la merda che faremo in quel giorno.

     Il duro passato, in scioltezza, cerchiamo di scordare,
ignari che, domani, sarà proprio ciò che dovremo defecare.

mercoledì 3 settembre 2014

Confini.

     Una volta stavo andando in Campania con la macchina. Ero piccolo e il mondo mi sembrava più grande di quanto in realtà sia. Non ero più nella pelle di aspettare il momento in cui, con la macchina, avremmo varcato il confine con la Puglia, mi sembrava qualcosa di epico ed inimmaginabile. Oltretutto, era il primo confine che avrei superato nella mia vita.

     Il viaggio era noiosissimo, sentivo il sonno poco a poco scivolare sulle mie membra, però combattevo per restare sveglio e guardare il momento in cui sarebbe accaduto. Ad un tratto, scorgo in lontananza un cartello un po' diverso dagli altri. Era tutto verde, in alto c'era una scritta con una grande X rossa e in basso una scritta bianca scoperta.

    Poco a poco la macchina si avvicina ed inizio a scorgere che la scritta barrata fosse "Puglia" e quella scoperta fosse "Campania". Il mio cuore tremava di metro in metro, il cartello era sempre più vicino al mio finestrino e facevo il conto alla rovescia. 3, 2, 1...Campania!

      Non mi sembrava vero. Non ero sicuro di essere davvero in Campania, mi sembrava tutto uguale a prima. Mi giro a guardare dal vetro posteriore se fosse così anche al contrario. In effetti, c'era un altro cartello con la scritta "Campania" barrata e la scritta "Puglia" scoperta. Non mi sembrava possibile, eppure ero in Campania, non era più Puglia, non si poteva negare.

     Mi sembrava strano che ci fosse solo un cartello a delimitare i confini tra due regioni. Fuori da quell'autostrada, come avrebbero fatto le persone a capire se fossero in Puglia o in Campania? Un pastore con il pascolo nei boschetti a ridosso di quel tratto di autostrada come avrebbe fatto a capire se le sue pecore mangiassero erba di Puglia o erba di Campania? Tutto sommato, immaginavo una grande linea rossa che delimitasse le due regioni, ma con dei confini così labili sarebbe stato tutto molto più confuso.

     Il problema dei confini e dei limiti è che sono concetti a volte astratti e a volte concreti. A meno che non ci sia una linea rossa ben precisa, non si può mai sapere se si è da un lato o dall'altro del confine stesso. Nella maggior parte dei casi, non esistono linee rosse a definire un confine. Anche se esistessero, poi, bisognerebbe vedere con quale perizia siano state tracciate, se davvero delimitino nel modo esatto una zona rispetto ad un'altra.

     Non siamo in grado di vedere un limite, ma senz'altro siamo in grado di capire quando l'abbiamo superato. Anzi, è l'unico caso in cui il limite ci è ben chiaro, stampato a chiari simboli. Prima di averlo varcato sappiamo della sua esistenza, ma soltanto dopo averlo fatto siamo in grado di vederlo.

     E' per questo che i limiti non sembrano esistere, non sembrano preoccuparci, almeno fino a quando non li superiamo.

sabato 30 agosto 2014

Cavalli.

     Mi è sempre parso molto crudele vedere dei cavalli coinvolti in delle competizioni sportive. Ogni volta che mi capita, penso ai cavalli da corsa e a tutta la robaccia che gli danno per farli più muscolosi, al modo in cui sono addestrati, penso a quanto corrono quelle povere bestie al Palio di Siena e mi dispiace di cuore, anche perchè magari, loro, degli umani si fidano e poi li trattano così. Le uniche competizioni che mi hanno dato sensazioni diverse sono quelle olimpioniche.

    Lì è tutto molto diverso, gli atleti non stanno mica con la canottona aderente, non hanno scritto "Despar" sotto il numero, non mostrano cosce depilate e non fanno i balletti alla Bolt. Stanno tutti bardati come i samurai, girano inespressivi come i manichini della conbipel all'interno di stadi in cui la gente fa silenzio che sembra quasi una chiesa. Che poi ti viene pure spontaneo da pensare a quanto poco, apparentemente, abbia in comune quell'ambiente con un tipico ambiente sportivo.

     Insomma, negli stadi la gente ha sempre fatto casino, ha perso la voce e si è vestita come a carnevale senza curarsi di perdere ogni briciolo di dignità. I campioni, poi, sono sempre stati quei montatoni col sorrisone, eroi tratteggiati al grassetto tipo i cartoni fighissimi, quelli che tutti vorrebbero diventare e a cui si ispirano quando si pompano in palestra. Con i cavalli, invece, è tutto il contrario. I tifosi, gli atleti, tutti si comportano in maniera estremamente composta, in silenzio come se fossero repressi, come se le loro menti fossero sotto il controllo di qualche supercomputer alla Grande Fratello.

     Il motivo di tutto questo è molto intuibile. Rientra, a mio avviso, nella naturale forma di rispetto che il pubblico e gli stessi atleti hanno per i cavalli. Sarà per questo che, quando trovo delle gare olimpiche con i cavalli, mi fermo sempre a guardare. Anche i commentatori pesano le parole, parlano piano come se ci fosse un bambino che dorme vicino a loro. E' tutto estremamente composto e rilassato, quasi non ce lo si aspetta.

     Il fantino samurai è tutto curvo sul cavallo, che fa su e giù con la testa e, zoccolata dopo zoccolata, raggiunge un ostacolo, spinge con tutti i suoi muscoli dalla forma perfetta, lo supera e poi avanti ancora, su e giù con la testa come se gli servisse per motivarsi. Tutti zitti, tutti in silenzio, anche alla fine, anche quando prende la medaglia d'oro, il fantino sorride come se avesse vinto un tostapane, il cavallo sempre su e giù con la testa.


     Poi magari dopo gli danno pure la doppia porzione di fieno e non capisce neanche il perchè. Mangia, mangia che è buono!

mercoledì 6 agosto 2014

Necessità.

Ho appena scoperto di essere arrivato a 6000 visite. Nonostante abbia ridotto la cadenza degli aggiornamenti, nonostante abbia cambiato (e cambierò) con altrettanta frequenza (e repentinità) il mio stile di scrittura, ringrazio chiunque abbia avuto il buon cuore, la voglia e, soprattutto, la pazienza di stare a sentire ciò che avevo, che ho e che avrò da dire.

Sperando di non annoiarvi mai e di darvi sempre emozioni nuove, ancora grazie.
E ora, via con il post.
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    Può accadere, qualche volta, che chi ti sta accanto abbia davvero bisogno di te senza che te lo chieda. Te ne accorgi all'improvviso, senti di poter fare qualcosa.

    Ed è proprio in quei momenti che dovrai fare di tutto per essere utile, con la certezza che probabilmente non riceverai neanche un "grazie", la probabilità di essere trattato anche un po' male per la tua presa di posizione e di sentirti dire cose che non vorresti sentire, eppure è proprio allora che senti dentro la necessità di agire, di fare qualcosa.

    In quel momento è forte la tentazione di rispondere male, dare fiammate di acidità e fuggire dal mondo per tornare ai fatti propri. Saresti perfettamente in grado di farlo, ma in quel momento, se sei cosciente della concreta possibilità di risolvere qualcosa, decidi di correre un rischio.

    Rischi la derisione, l'umiliazione, sensazioni ancora peggiori delle precedenti. Non sei per nulla sicuro di riuscire, ma sei senz'altro sicuro che è tutto ciò che puoi fare. La mano trema, la gola anche, il sangue scorre più forte e, se non lo hai mai fatto, potresti anche iniziare a incrociare le dita, ma il tuo passo dovrà essere sicuro e implacabile. Chi agisce deve essere sicuro di ciò che fa, se agisce per esitare può solo fare danni.

    Se fallirai, andrai avanti e vedrai qualcosa che ti dispiacerà, probabilmente affronterai le ore e i giorni seguenti a chiederti se sarebbe stato meglio stare fermi. Non sai cosa accadrà se avrai successo, non stai neanche a chiedertelo, speri solo che, ad ogni modo, accada la cosa migliore.

   Se proprio in quel momento in cui l'attesa è più trepidante, la paura è massima, se proprio allora il karma, la Legge di Murphy, le maledizioni dei post su facebook, la spietata ironia dell'universo intero deciderà di avere pietà di te e tutto andrà davvero, per una volta sola, per il meglio, ecco che ogni paura colerà via come la neve al sole. Camminerai e tornerai al tuo lavoro con una preoccupazione in meno.

    Nessuno ti ringrazia, nessuno riconosce il tuo lavoro. Passo dopo passo, torni a ciò che facevi prima, ripensi a ciò che è successo e a ciò che hai fatto fino a scontrarti con un'ultima consapevolezza, pesante come un blocco di marmo: se non ci fossi stato tu, per davvero non sarebbe finita nel migliore dei modi.

    In questi rari momenti, quelli come me sentono il bisogno estremo di fumare una sigaretta.

giovedì 26 giugno 2014

Patatine.

     L'umanità è come le patatine con la sorpresa.

     All'inizio le vedi in giro e non ti dicono nulla, finchè un giorno i tuoi non te ne portano un pacco a casa. Scarti, mangi, la sorpresa ti piace e improvvisamente ne vai pazzo.


     Metti in croce i tuoi per averne ancora, sia per le sorprese che per le patatine. Non vorresti niente altro, nulla se non quelle patatine con quelle sorprese. A volte non ti piacciono neanche, ma sembri proprio non rendertene conto, dopotutto sei convinto di avere tra le mani le patatine migliori che ci siano.


  A   nno dopo anno, diventando grande, capisci dell'inganno del prezzo troppo elevato di pacchi riempiti con piú aria che patatine, capisci che le sorprese non sono tutta questa gran cosa e, in qualche modo, ti abitui all'oggettività dei fatti. Non ti danno piú lo stesso entusiasmo, per qualche anno smetti anche di comprarle.


   Ar   riverà sempre il momento, però, in cui le comprerai un'altra volta. Magari avrai anche un'indipendenza maggiore rispetto all'ultima volta in cui le hai consumate, non te le compreranno i tuoi genitori. Costeranno sempre troppo, però le comprerai lo stesso.


   Saprai già che, anche stavolta, la sorpresa sarà qualcosa di inutilizzabile e dall'inevitabile fragranza di petrolio e di scantinato in un sobborgo di Taipei, ma non è per avere sorprese che ti troverai con quel pacco di patatine in mano.


   È solo che tutti, prima o poi, abbiamo voglia di patatine. Magari, una volta tanto, varranno davvero  il prezzo che costano. Magari un operaio ci avrà fatto cadere per sbaglio un anello col diamante al posto di un pezzo di plastica a forma di un brutto topo antropomorfo.


   O forse no.

martedì 10 giugno 2014

Libertà.

    Ora ci va questo...mmh...ssiiii...bisssfosfato, ok. Poi si fa ad isom...no, aspetta, prima ne perdiamo uno. ADESSO isomerizza....intermedio instabile, va bene, che può essere usato per il sangue, si ok, la sappiamo...e ora due fosfato...ok, fatta, ora questo...e poi questo. Sarebbe proprio l'ideale oggi con il computer sull'erba...dopo, dopo l'esame. Il glicogeno è a uno fosfato, può isomerizzare a sei...

    Non si mette la sveglia. Uno apre gli occhi e non vede neanche che ore sono. Ad ogni modo nove e mezza. Neanche un alito di vento, un caldo torrido che non si può stare, la mattina del primo giorno in cui non ho assolutamente nulla da fare, nulla da studiare, nulla da preparare.

    Mi abbandono allo strano piacere della maglietta umida di sudore fresco e alla freschezza della macchia di bava sgorgata dalla bocca e diffusa su una chiazza circolare a causa della mia abitudine di dormire a pancia sotto, convinto che cambierei idea se solo mi soffermassi sul suo odore. Tanto appena mi alzo mi devo fare una doccia, non importa.

    Butto una mano sul computer, sollevo lo schermo, premo il pulsante seguendo esclusivamente la mia improvvisa voglia di musica anni 60, che mi ricorda sempre l'estate e il riposo assoluto. Col cazzo che butto la mattinata su Game of Thrones o Mad Men, stamattina mi prendo il computer e me ne vado a scrivere sul prato.

    E se poi ti fanno i gavettoni?
Diavolo, esiste gente tanto stupida da fare un gavettone ad uno che sta con il portatile sulle gambe?!?
    Si.
Eh. Allora me ne vado in un posto in cui non si possono fare gavettoni dall'alto.
    Si, ma l'hai sentito il sole? Rischi di friggerti il cervello e l'insolazione.
Dell'insolazione non mi frega molto, però vado all'ombra.
    E il vento?
Non c'è vento, basta! Non passerò la mia giornata senza fare un cazzo! E' troppo tempo che non scrivo!

    Una bella canzone parte e mi abbandono ad atmosfere hippie dal comodo del mio materasso umidiccio e nella penombra della mia stanza. Sono le dieci. In effetti è un poco scomodo andare a scrivere sull'erba con il computer, tanto vale che mi porto l'asciugamano ed un bel libro. Ancora mezz'ora e poi mi alzo.

    Si, ma mi devo fare la doccia, non posso aspettare un'altra mezz'ora. E vabbè, troppo tardi, dieci e mezza. Doccia. Tanto non devo fare un cazzo.

    E dopo una bella doccia non lo vuoi un bel bicchiere di latte fresco?
Mah, quasi quasi.
    Imbraccio la tazza di Paperino, verso un generoso volume di latte, ci sbatto dentro un cucchiaio abbondante di zucchero, mi siedo in mutande sul materasso umidiccio e sorseggio il latte passabilmente fresco a causa dell'idiozia del mio frigorifero. Finalmente una bella canzone da un bel film di Tarantino. Sparatorie in mente, sangue dovunque, latte fresco dal sapore dolce, luce soffusa tipo cella di qualche monastero strano. E ho fame.

    Non c'è nessuna necessità di fare colazione alle undici del mattino, però non ho davvero un cazzo da fare. E' bello fare colazione alle undici. In barba a chiunque abbia da fare, fanculo tutti. Faccio colazione alle undici, dopo 7 mesi che mi sveglio tra le sei e le otto del mattino. Pantaloni corti, cintura, maglietta a caso e giù a fare colazione.

    -...solo per te guarda, è rimasto solo per te!-
Mi arriva sotto il naso un cornetto integrale molliccio che sottraggo alle manie dietistiche di qualche collega in sovrappeso, o più plausibilmente al titolare del bar che fischietta allegro. Finisco il cornetto in fretta, un po' vergonandomi dell'ora in cui vengo a fare colazione. Finisco il caffè e faccio un sopralluogo fuori per trovare un bel posto in cui mettermi a gambe incrociate, con o senza computer.

    Inizio a camminare e a buttare gli occhi su qualche angolo all'ombra di qualche albero, verificando che non sia sotto nessuna finestra e nessun occhio indiscreto. Mi gratto la barba, la testa bollente mentre decido irreversibilmente di tornare a casa dopo neanche dieci metri a causa dell'afa spietata.

    Erano mesi interi che aspettavo questo giorno, eppure non ne ero per nulla soddisfatto. Bruciato ogni piano per dedicarmi a ciò che mi piace in un modo diverso dal solito, tornando a casa sotto il sole delle undici e mezza passate, mi resi conto che l'unica soddisfazione che poteva restarmi era quella della colazione a quell'ora così inconsueta. Eppure anche quello, poco dopo, mi resi conto che fosse solo qualcosa di inutile, inconsistente, frivolo e completamente vano.

    Succede così quando si aspetta un giorno particolare: ci si tiene così tanto che si passa così tanto tempo a programmarlo che ci si dimentica di viverlo nella maniera più semplice.

    Poco a poco, il cielo si riempie di nuvole di pioggia. Dice su internet che da venerdì diluvierà per una settimana intera. Come ogni volta, proprio quando voglio andarmene in giro, in quei pochi giorni di respiro e riposo tra un esame e l'altro, il tempo diventa orribile e non posso fare nulla.

    Tanto non avrei fatto un cazzo lo stesso.

lunedì 2 giugno 2014

Enema.

   La nebbia si distendeva sul terreno come in una sauna. Non si vedeva ad un palmo di naso. Il silenzio era rotto dai gracidii tiepidi e dal battito d'ali delle libellule. A quell'ora le zanzare della malaria erano certamente a dormire, ma di questo i due piccoli erano incoscienti. Giocavano sulla riva del fiume dopo aver mangiato un pezzo di pane rubato al fornaio assonnato davanti al ponte. I loro vestiti avevano visto mesi e mesi di quella nebbia, di odore di pesce, di nobildonne, di sterco equino e di ogni cosa con cui erano stati a contatto.

   Giocavano a lanciarsi palle di fango ridendo e scherzando, stando ben attenti a non cadere nel fiume. Annegati o assiderati, sarebbero senz'altro morti e, malgrado la loro vita tanto grama, avrebbero voluto giocare ancora per molti anni. Ad un tratto, uno si fermò.
-Ehi, John! Che ti prende?-
-Guarda quello, quello che cammina sul ponte.-
-Quello nella nebbia lassù?-
-Eh! C'è solo lui! Non ti sembra che stia camminando un po' strano?-
-No, non mi sembra! Che diavolo ti prende?-
-Quello tra un po' cad...oh mio Dio!-

    L'uomo sul ponte si aggrappò al muretto, strinse la mano al petto proprio sopra il cuore e emise un gemito che tagliò la nebbia. I due bambini lo guardavano con la bocca aperta e la paura nel petto, che divenne terrore puro quando videro il corpo dell'uomo volteggiare e cadere nella morsa del fiume con un urlo terrificante.

-Scappa John!-
-Che stai dicendo, Dick?! Se quello è uno ricco e lo salviamo, poi sarà riconoscente!-
-Fanculo i soldi! Io non mi ci butto ammollo nel fiume!-
-Allora la ricompensa me la cucco tutta io!-
-John! No!-

    Si tolse il poco di maglietta che aveva addosso e si buttò in acqua. La corrente stava trascinando l'uomo proprio verso di loro. Iniziò a nuotare in diagonale per intercettare il suo corpo, che urlava di dolore mentre la corrente lo trascinava. Proprio un momento prima che John gli afferrasse il braccio, smise di urlare. John lo prese, e sempre con l'aiuto della corrente lo riportò a riva. Dal suo abbigliamento, sembrava un uomo ricco. La sua faccia era sbiancata e non doveva avere più di 50 anni.

-E' annegato...-
-Magari è ancora vivo! Vado a cercare un dottore!-
-No! Tu resta qui! Voglio anche io la ricompensa!-

    Il piccolo iniziò a correre spinto dalla fame e dalla frenesia di uscire dalla sua vita di stenti, andò in mezzo alla strada e iniziò ad urlare per cercare un medico. Urlò così tanto che non tardò più di un minuto a trovarlo.
-Dottore! Dottore! Un uomo! Annegato!-
-Dove?-
-Proprio qui sotto! Deve salvarlo! Forse è vivo! E' annegato!-
-Annegato? So io cosa fare! Seguimi!-

    Il bambino seguì il dottore di corsa, sebbene la sua tunica larga, la sua stazza e le sue scarpe strette non erano così difficili da perdere di vista.
-Jameson, presto! La valigetta dell'enema!-
-Un annegato?-
-Si! Presto! Mi segua! E seguimi anche tu! Ehi! Giù le mani! Oppure lo paghi tu il servizio, malandrino!-, gettò uno scapaccione alla nuca del bambino, -portaci da questo annegato! E se è una trappola, giuro che un salasso non te lo toglie nessuno!-

    A questa minaccia, il piccolo corse come non mai e portò il medico e il suo assistente dall'annegato in un secondo. Un piccolo gruppo di persone si era sistemato attorno a John e al corpo del malcapitato.
-Largo! Largo! Siamo scienziati!-
Tutti si spostarono immediatamente e lasciarono spazio ai togati. Jameson aprì la valigetta senza che il dottore gli dicesse nulla.
-Presto! Qualcuno gli tolga subito tutti i vestiti di dosso! Tutti quanti!-
Il fabbro e il fornaio si precipitarono addosso al corpo esanime, mentre i piccoli si allontanarono subito per evitare lo sguardo del fornaio. Intanto, l'assistente del dottore sistemava uno strano oggetto. Era una specie di soffietto per il camino, da una parte aveva la punta da cui usciva l'aria e dall'altra una specie di braciere. Con mano sicura, aprì una grande scatola piena di tabacco e ne mise una manciata generosa nel braciere, poi prese l'acciarino e diede fuoco.

   -Jameson! Questo enema?-
-E' pronto, Mr. Sydenham!-
Il dottore girò sul fianco il corpo dell'annegato, prese il soffietto dalle mani dell'assistente e gli infilò la punta dritta nel buco del culo. Poco a poco, l'assistente apriva e chiudeva il soffietto.

   Era pratica comune, tra settecento e ottocento, soffiare del fumo di tabacco nel sedere di un annegato. Si credeva che in questo modo si potesse salvargli la vita. E andavano avanti per interi minuti, a continuare a soffiargli fumo di tabacco nel culo mentre quello magari era già morto e manco se n'erano accorti. Eppure non era colpa loro, loro credevano davvero di fare qualcosa per salvargli la vita.

   A volte io mi guardo intorno e vedo gente che ha dei problemi. Ognuno affronta un po' come può i problemi che ha, eppure a volte mi sembra di vederli affrontare proprio come si affrontava un annegato nell'antichità. Non capisco proprio come gli possa venire in mente di fare certe cose, così poco produttive e fondamentalmente inutili per risolvere i problemi stessi, eppure loro continuano a farle, convinti realmente di essere quasi al punto di svolta. Li vedo come il signor Jameson e il dottor Sydenham, a sudare sotto le loro vesti troppo ingombranti per dei dottori per infilare più aria possibile nel retto di quel tipo.

   Qualche volta succede che ci riescano per davvero, a risolvere dei problemi facendo qualcosa di completamente inutile. In quei casi, però, succede solo perchè nel frattempo accade qualcos'altro, che realmente influenza il corso degli eventi. Così non se ne accorgono, pensano che il merito sia tutto loro. Continuano a vivere e a cercare di risolvere i loro problemi, o il più delle volte di aggirarli. Se ha funzionato una volta, perchè non dovrebbe funzionare ancora?

   Ecco di colpo il poveraccio riaprire gli occhi. E' salvo. Però nessuno si accorse che quel povero scemo aveva buttato un colpo di tosse, grazie al quale ha tirato fuori l'acqua che aveva nel petto. Si era salvato da solo, trovandosi tutto nudo e con un soffietto in culo, senza neanche sapere il perchè. Gli astanti intorno applaudirono ai medici, mentre i piccoli saltavano addosso al suo corpo portandogli i vestiti e ricordandogli di averlo tirato fuori dall'acqua.
-Meno male per questi due marmocchi, senza il nostro enema lei non sarebbe tra noi!-
-Ma...ma quale enema...io ho solo tossito e sputat...-
-Ma guarda il furbone! Adesso vuole prendersi tutto il merito! Ah ah ah! Salvare vite è la nostra soddisfazione, ma non è per nulla gratis! Ah! Cosa crede?-

martedì 13 maggio 2014

Sollevare.

   Caldo e cremoso, si impasta la bocca. Così tanta nutella che faccio difficoltà a masticare. Il tutto è reso ancora più difficile dalla scelta del panino all'olio, notoriamente dal sapore dolciastro e da sempre abbinato (a ragione) alla nutella. Le mie sette del mattino di una domenica di ottobre liceale ancora troppo clemente, con addosso solo un paio di pantaloncini di cotone mentre una madre non troppo clemente mi ricorda per la terza volta che dovrei mettermi qualcosa addosso.

  Una mano regge il piatto, l'altra accende la tv su un canale a caso, poggia il telecomando e prende il volantino della coop. Sento distrattamente che qualcuno lascia qualcun altro senza parole come una primavera, ma a me importa molto più guardare a quanto danno la nutella dal 25 di ottobre al 3 novembre. Ascolto distrattamente e sfoglio il volantino ancora più distrattamente, per lasciarmi andare lentamente alla pastosa sbobba di nutella e pane e al naturale stordimento dei primi dieci minuti dopo la sveglia. L'ultima cosa che osservo sono Giorgia e quello dei Negramaro che cantano in mezzo alla nebbia sulle montagne, gridandosi che si vorrebbero sollevare. Poi vince l’abiocco.

  Sulla corriera, su facebook, tutti che si lasciano senza parole come una primavera. Ed io che cammino sotto il sole con la maglietta a maniche corte e le mani in tasca e mi chiedo che cazzo voglia dire lasciare qualcuno senza parole come una primavera. Continuano a ripeterlo tutti, in maggioranza donne. Ho l'immunità al 90% dei tormentoni, ma questo tormentone mi sembrava più insensato di tutti quelli che avevo conosciuto fino ad allora. Non avevo ancora conosciuto il Pulcino Pio.

   Tornato a casa, poco prima di pranzo mi misi anche a leggere il testo di quella canzone, ma non ci avevo capito proprio nulla. Mi sembrava senza senso, campato in aria.

   Giacchè parlavamo tutto il giorno a messaggi, te l'ho chiesto.
-Ma che cazzo vuol dire quella canzone? Mi sembra proprio senza senso!-
-Ehhh, un senso ce l'ha!-
-Si, ma quale?-
-Hai visto il video?-
Quello dei Negramaro e Giorgia in mezzo alle montagne che si gridano cose a cazzo?
-No, non l'ho visto!-
-Eh, se lo vedi capisci!-

   Mi promisi di farlo di lì a breve. Rientrò nelle mie priorità della giornata, ma quella seguente, dato che questa era giunta al termine. Il giorno dopo tutti continuano a lasciarsi come una primavera. Ero curioso, ancora più curioso visto che eri proprio tu ad averci visto qualcosa di interessante, e visto che trovavo anche te interessante, la cosa è stata transitoria. Magari era un messaggio che volevi darmi, magari era qualcosa di recondito, qualcosa di splendido che trovavi interessante anche tu. Sarebbe stato ancora più bello apprezzarlo se sapevo che lo apprezzavi anche tu.

   Dopo qualche anno mi è uscita la barba, ho perso qualche chilo, messo su qualche muscolo, iniziato a bere birra di tanto in tanto e trasferito a più di cento chilometri. Di te non mi frega più niente, se non per ricordare qualche momento bello e scriverci qualcosa su per far ridere me stesso e qualcun altro. Raccontando di quella volta che me la sono vista brutta tagliando un limone, tra una fetta di pizza e l’altra lancio un occhio alla tv e guardo un paesaggio nebbioso da cui spunta la pelata di quello dei Negramaro, a cui è sufficiente far vedere un video in cui canta al dentista per sapere se ha qualche carie. Poi gli si affianca Giorgia e si vorrebbero sollevare, consolare, sollevare, non si decidono. E lì mi tornò in mente.

   Alla fine non ero andato a vedere il video di quella canzone. Non ci avevo più pensato, sebbene allora fosse così importante per me. Mi ero del tutto dimenticato, tra mille impegni e mille cose da fare, mi era uscito completamente di testa. Erano già passati cinque anni da allora, il mondo scorreva, e per un momento ho pensato a ciò che eravamo. Gli altri ridevano ancora della mia disavventura con il limone, ed io buttavo una mano in tasca per accendere la connessione internet sul telefono. Ero davvero pronto ad andare a vedere cosa avresti voluto dirmi.

    La canzone non l’avevo mai ascoltata per intero, allora la odiavo troppo. Digitavo “ti vorrei sollevare” sul browser del telefono, e in un istante pensai che, in fondo, non me ne fregava niente. Non me ne fregava niente neanche allora, in fondo.

   Per quanto potessi avermi preso, per quanto possa essere stato io innamorato di te, per quanto avrei fatto qualunque cosa per vederti felice, non saresti mai riuscita a cambiare i miei gusti. Ero un debole allora, ma sufficientemente forte da impedirti di rovinarmi del tutto la vita.

   Non mi ricordo cosa dicesse quel testo, non lo rileggerò mai, nè guarderò mai quel video. Quella canzone fa schifo, anche se non l’ho mai sentita per intero. Bisogna conoscere una cosa prima di poter esprimere un giudizio su di essa, ma se si tratta di una canzone, vi assicuro che basta sapere che nel videoclip stanno quello dei Negramaro e Giorgia che cantano sulle montagne per farmi capire che fa schifo.