sabato 30 agosto 2014

Cavalli.

     Mi è sempre parso molto crudele vedere dei cavalli coinvolti in delle competizioni sportive. Ogni volta che mi capita, penso ai cavalli da corsa e a tutta la robaccia che gli danno per farli più muscolosi, al modo in cui sono addestrati, penso a quanto corrono quelle povere bestie al Palio di Siena e mi dispiace di cuore, anche perchè magari, loro, degli umani si fidano e poi li trattano così. Le uniche competizioni che mi hanno dato sensazioni diverse sono quelle olimpioniche.

    Lì è tutto molto diverso, gli atleti non stanno mica con la canottona aderente, non hanno scritto "Despar" sotto il numero, non mostrano cosce depilate e non fanno i balletti alla Bolt. Stanno tutti bardati come i samurai, girano inespressivi come i manichini della conbipel all'interno di stadi in cui la gente fa silenzio che sembra quasi una chiesa. Che poi ti viene pure spontaneo da pensare a quanto poco, apparentemente, abbia in comune quell'ambiente con un tipico ambiente sportivo.

     Insomma, negli stadi la gente ha sempre fatto casino, ha perso la voce e si è vestita come a carnevale senza curarsi di perdere ogni briciolo di dignità. I campioni, poi, sono sempre stati quei montatoni col sorrisone, eroi tratteggiati al grassetto tipo i cartoni fighissimi, quelli che tutti vorrebbero diventare e a cui si ispirano quando si pompano in palestra. Con i cavalli, invece, è tutto il contrario. I tifosi, gli atleti, tutti si comportano in maniera estremamente composta, in silenzio come se fossero repressi, come se le loro menti fossero sotto il controllo di qualche supercomputer alla Grande Fratello.

     Il motivo di tutto questo è molto intuibile. Rientra, a mio avviso, nella naturale forma di rispetto che il pubblico e gli stessi atleti hanno per i cavalli. Sarà per questo che, quando trovo delle gare olimpiche con i cavalli, mi fermo sempre a guardare. Anche i commentatori pesano le parole, parlano piano come se ci fosse un bambino che dorme vicino a loro. E' tutto estremamente composto e rilassato, quasi non ce lo si aspetta.

     Il fantino samurai è tutto curvo sul cavallo, che fa su e giù con la testa e, zoccolata dopo zoccolata, raggiunge un ostacolo, spinge con tutti i suoi muscoli dalla forma perfetta, lo supera e poi avanti ancora, su e giù con la testa come se gli servisse per motivarsi. Tutti zitti, tutti in silenzio, anche alla fine, anche quando prende la medaglia d'oro, il fantino sorride come se avesse vinto un tostapane, il cavallo sempre su e giù con la testa.


     Poi magari dopo gli danno pure la doppia porzione di fieno e non capisce neanche il perchè. Mangia, mangia che è buono!

mercoledì 6 agosto 2014

Necessità.

Ho appena scoperto di essere arrivato a 6000 visite. Nonostante abbia ridotto la cadenza degli aggiornamenti, nonostante abbia cambiato (e cambierò) con altrettanta frequenza (e repentinità) il mio stile di scrittura, ringrazio chiunque abbia avuto il buon cuore, la voglia e, soprattutto, la pazienza di stare a sentire ciò che avevo, che ho e che avrò da dire.

Sperando di non annoiarvi mai e di darvi sempre emozioni nuove, ancora grazie.
E ora, via con il post.
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    Può accadere, qualche volta, che chi ti sta accanto abbia davvero bisogno di te senza che te lo chieda. Te ne accorgi all'improvviso, senti di poter fare qualcosa.

    Ed è proprio in quei momenti che dovrai fare di tutto per essere utile, con la certezza che probabilmente non riceverai neanche un "grazie", la probabilità di essere trattato anche un po' male per la tua presa di posizione e di sentirti dire cose che non vorresti sentire, eppure è proprio allora che senti dentro la necessità di agire, di fare qualcosa.

    In quel momento è forte la tentazione di rispondere male, dare fiammate di acidità e fuggire dal mondo per tornare ai fatti propri. Saresti perfettamente in grado di farlo, ma in quel momento, se sei cosciente della concreta possibilità di risolvere qualcosa, decidi di correre un rischio.

    Rischi la derisione, l'umiliazione, sensazioni ancora peggiori delle precedenti. Non sei per nulla sicuro di riuscire, ma sei senz'altro sicuro che è tutto ciò che puoi fare. La mano trema, la gola anche, il sangue scorre più forte e, se non lo hai mai fatto, potresti anche iniziare a incrociare le dita, ma il tuo passo dovrà essere sicuro e implacabile. Chi agisce deve essere sicuro di ciò che fa, se agisce per esitare può solo fare danni.

    Se fallirai, andrai avanti e vedrai qualcosa che ti dispiacerà, probabilmente affronterai le ore e i giorni seguenti a chiederti se sarebbe stato meglio stare fermi. Non sai cosa accadrà se avrai successo, non stai neanche a chiedertelo, speri solo che, ad ogni modo, accada la cosa migliore.

   Se proprio in quel momento in cui l'attesa è più trepidante, la paura è massima, se proprio allora il karma, la Legge di Murphy, le maledizioni dei post su facebook, la spietata ironia dell'universo intero deciderà di avere pietà di te e tutto andrà davvero, per una volta sola, per il meglio, ecco che ogni paura colerà via come la neve al sole. Camminerai e tornerai al tuo lavoro con una preoccupazione in meno.

    Nessuno ti ringrazia, nessuno riconosce il tuo lavoro. Passo dopo passo, torni a ciò che facevi prima, ripensi a ciò che è successo e a ciò che hai fatto fino a scontrarti con un'ultima consapevolezza, pesante come un blocco di marmo: se non ci fossi stato tu, per davvero non sarebbe finita nel migliore dei modi.

    In questi rari momenti, quelli come me sentono il bisogno estremo di fumare una sigaretta.