sabato 27 ottobre 2012

Foche.

    Mi ero messo la camicia nuova nuova. Non l'avevo mai usata, ma era già la mia preferita. Faceva fresco e avevo i jeans buoni. L'aria delle 22 e 30 era inebriante nel parcheggio, tra alberi di specie ignote che sovrastavano macchine di tutti i tipi. C'era la city car, la cinquecento, la minicar, la macchina supermodificata del fico di turno che morirebbe di inferiorità se non riuscisse a farsi notare. Davanti a me, gruppetti di persone si dirigevano verso l'ingresso, come piccoli plotoni in marcia disordinata verso qualcosa della cui natura mi ero già fatto una mezza idea.

    Il ritmo fracassante della musica si sentiva molto forte già da lontano. La gente intorno sorseggiava cocktail parlando di figaggine con un accento molto marcato. Ritrovo i miei compagni di serata e formo anche il mio gruppo. Ci dirigiamo verso un capannello di persone che circondava qualcosa che diffondeva una bella luce arancione.

    Era un furgoncino Volkswagen, di quelli che qualche decennio fa usavano gli hippie per ritrovarsi nelle radure per farsi di LSD e marijuana. Era verniciato di bianco e arancione. Gli interni erano di una più o meno gradevole fantasia zebrata. Un signore faceva entrare gruppetti di persone a farsi delle foto in quello che chiamavano "furgoncino hippie". Subito dopo il mio gruppetto, entrarono 3 ragazzi a farsi una foto. Era buio pesto e indossavano tutti e tre degli occhiali da sole, esibendo le loro lingue e i loro capi firmati all'obiettivo. Guardando la scena, la confrontavo con qualche fotogramma dei video di Woodstock, chiedendomi quanto di hippie fosse rimasto lì dentro, in quel furgoncino hippie. Probabilmente nemmeno il radiatore. Succede, in fondo. Gli anni passano e cambia anche il modo e lo stile di divertirsi.

    Non ero mai stato ad una festa di questo genere. Mi guardavo intorno. Erano tutti quanti vestiti nel meglio delle loro possibilità, ad esibire le loro pose migliori per mostrare i lati migliori di sè. Ogni angolo bruciava di bagliori di autostima, tra facce divertite, impressionate, stralunate che non vedevano l'ora di entrare a fare casino. In fondo ero anche io molto impaziente, volevo divertirmi anche io.

    Lo scimmione all'entrata iniziò a far entrare piccoli gruppi di persone volta per volta. Quelli con la prevendita avevano la precedenza, e guardacaso anche io avevo la prevendita. Ero lì, ammassato tra la spalla destra di un ragazzone che profumava di sigaro e un ragazzino con gli ormoni a mille che addossava le sue mani sulla mia schiena. Di colpo iniziai a sentire qualche "oh!" di sdegno che scorreva di bocca in bocca dalla coda del gruppo verso il centro. Insieme allo sdegno, arrivò dritto dritto sulla mia spalla uno spintone che mi fece precipitare sul braccio sinistro di una ragazza. Le faccio male, mi guarda scocciata e un po' spaventata, io le sorrido e le dico che non è colpa mia. Sorride anche lei.

    Finalmente entro anche io. Tra tutto il gruppo, con lui mi trovo molto bene. Abbiamo gli stessi gusti e un carattere simile, solo che lui ci sa fare un po' più di me. Per stasera mi affido a lui. Non avevo mai fatto niente del genere, ero lì quasi solo per curiosità e senza troppa ambizione. Mi tranquillizza e mi dice che è molto semplice, basta trovare un gruppo di ragazze carine, andare a ballare vicino a loro e cercare di attaccare bottone. Se ci stanno, continuare a parlare, altrimenti si passa ad altro. Non mi aveva mai ispirato come cosa, tuttavia, più che bisognoso, ero solo molto curioso.

    Inizio a guardarmi intorno insieme al mio compagno. Troviamo un gruppo ed iniziamo a ballare. Lui è molto più scatenato di me, probabilmente perchè prima ha bevuto un po'. Io lo guardo molto divertito e dò anche io il meglio di me, senza alcool però. Le prime rifiutano, anche le seconde e le terze. Un po' stanchi, decidiamo di andare in bagno.

   Il corridoio lungo pullulava di gente stanca. Alcuni erano collassati su delle sedie mentre sbavavano sui loro vestiti in preda a qualche bicchiere di troppo, trattenuti dai loro amici prima che potessero fare qualche cazzata. Altri semplicemente riposavano e chiaccheravano del più e del meno. Il bagno aveva tre cabine, di cui una fuori uso, per cui la fila era lunghissima. Io non dovevo fare nulla, così stavo lì addossato al muro ad aspettare il mio amico.

   Guardai la gente in fila. Un ragazzo elegantissimo aspettava chattando con il suo smartphone su Facebook. Da una cabina uscì un tipo un po' più avanti con gli anni. Esibiva il petto villoso con una camicia hawaiana blu notte e un paio di baffi a manubrio. Era molto sicuro di sè. Probabilmente voleva risultare sexy, in realtà somigliava solo ad Asterix. Un altro, appena uscito dalla cabina, si lavava le mani guardando allo specchio se i suoi capelli fossero a posto. Notando un'imperfezione, leccò le basette con le dita bagnate e si sistemò il colletto.

   "Basta così." sento un tipo sentenziare dietro di me. Si gira verso il muro sopra il cestino della spazzatura, tira giù la zip e libera senza troppa vergogna la sua vescica. Il mio amico aveva appena finito, lasciai insieme a lui la stanza.

   Ritroviamo il gruppo da cui mi ero staccato. Le ragazze con cui ero arrivato lì sedevano annoiate con le facce leggermente sconvolte. Lo sguardo di una di loro sguardo non celava una sbavatura di sdegno gentile. Una di loro era molto più tranquilla, invece. I tacchi altissimi, uno splendido tailleur nero e il collo slanciato, rivolto verso un punto del soffitto in alto a destra. Fumava una sigaretta mostrando una fascinosa aria di indifferenza. Non ero ancora riuscito a concludere nulla, così, un po' incuriosito, mi viene voglia di farle una domanda, soltanto per vedere come reagisce.

   Distolgo la sfinge dalla sua interessante visione chiamandola con il suo nome. Si rivolge a me girando piano la testa, gli occhi semichiusi. "Secondo te sono fico?". Dà un tiro intenso senza passione alla sua sigaretta quasi finita, e con la stessa freddezza sfuma sul mio viso un "No.". Scoppio a ridere senza contegno.

   Erano tutti lì per lo stesso motivo. Erano tutti lì, spinti dalla stessa motivazione, dalla stessa cosa, le ragazze come i ragazzi. Guardavo un po' tutti e non ci voleva troppo ad intuire chi questo l'aveva capito e chi meno. Occhi che cercavano, occhi che puntavano, occhi che miravano, occhi che si guardavano intorno inebriati e incuriositi, occhi che si guardavano intorno confusi malcelando un po' di paura. Nell'aria volava un misto di profumi vari, sudore e aliti farciti di alcool che galleggiava tra i denti, tra gli stomaci, residui di cocktail e di cena di qualche ora prima che si scambiavano di bocca in bocca con qualche schiocco umido.

   Torniamo fuori a ballare insieme a loro. Un ragazzo punta una delle mie compagne. Lei è evidentemente disinteressata, così mi metto davanti a lei e faccio finta di averla puntata io, giusto per toglierglielo di torno. Mi sentii soddisfatto vedendola un po' più rilassata. Continuo a coprirla finchè, dopo 5 o 6 approcci deviati dalle mie spalle, il tipo mi mette una mano sulla spalla e mi dice all'orecchio che a questo punto dovrei "farle sentire la presenza".

   Gli dissi di sì fingendo tutto l'entusiasmo che potessi tirar fuori, dissi alla mia compagna quello che mi aveva detto e la accompagnai un po' più in disparte. Ci sedemmo uno di fianco all'altro. La guardai negli occhi e ci scambiammo il disagio di trovarci in un posto che non piaceva a nessuno dei due. Per tranquillizzarla un po', le dissi che in quel posto ero sicuramente la persona più innocua. Mi diede ragione sorridendo.

   Seduto sulla ringhiera guardavo tutti scatenarsi. Li guardavo tutti, ognuno sistemato al meglio, ognuno che cercava di corteggiare qualcun altro, l'altro che ci stava, persone che si baciavano, ognuno di loro girava come un tubetto di maionese che cercava di spruzzare quanto più in alto possibile la propria presenza, ognuno che cercava di diventare il centro di tutti gli altri.

   Diedi un respiro profondo e l'odore fortissimo di sudore acre emanato da tutta quella gente mi riempì i polmoni.

   Ho visto un documentario sulle foche. Le foche, in un periodo dell'anno, si raggruppano in massa sulle spiagge per accoppiarsi. In quel momento mi venne in mente una scena del documentario, una ripresa aerea della spiaggia piena zeppa di foche in calore, tutte ad ingropparsi, una sull'altra, emettendo guaiti e versi di piacere, inebriate dai feromoni e dalla necessità di continuare la specie. Quando vidi quella scena la prima volta, pensai "Chissà che puzza devono fare tutte quelle foche messe insieme".

   Sicuramente una forte puzza di sudore acre.

lunedì 15 ottobre 2012

Me la ridevo.

   Ho sempre creduto che nella vita la cosa più importante sia avere un motivo. Qualunque cosa si faccia, l'importante è farla secondo una motivazione valida e inequivocabile. Non avrei mai pensato di avere una motivazione anche per questo, non mi aveva mai attratto prima d'ora, fatto sta che un giorno mi è venuta giù dal cielo così, senza che me l'aspettassi minimamente.

   -Chi molla per ultimo vince!-. Non avrei mai pensato che avrei potuto un giorno trovarmi a quel tavolo. O forse, forse in fondo si. Senza troppo coraggio ho partecipato anche io. Tirai febbrilmente il dado la prima volta, pensando all'effetto che avrebbe fatto. Non avevo mai provato nulla del genere, era la mia prima volta ed ero già allegro. Non mi toccò nulla al primo turno, e nemmeno al secondo. Dopo due giri, gli altri si accorsero che mi era andata bene fino a quel momento, così iniziarono a farmela pagare. C'era già chi aveva gli occhi lucidi, me ne fecero buttare giù due interi, mentre me la ridevo.

   -Oh, ehi, chiaramente, chiaramente se non ce la fate più alzatevi e andatevene. Non ci sono eroi qui.-. Io me la ridevo e iniziavo a sentire un po' la testa girare. Di fianco a me era accesa la tv. Mandavano delle canzoni più o meno interessanti, tra cui anche un grande successo dei REM. Sapevo il testo a memoria, e non potevo, non potevo davvero non cantarla. Oltretutto adoro cantare, e adoro ancora di più cantare quando sono allegro. Gli altri, ancora intatti, mi avevano preso per strafatto e cercavano di stuzzicarmi, mentre me la ridevo, come si fa con chi è un po' allegro, senza malizia. Non volevo fermarmi, cantavo con tutto il fiato che avevo in gola, cantavo anche l'assolo. Mi sono fermato solo quando ho iniziato a sudare un po'. Capivo perfettamente che non avrei retto ancora per troppo, ma ovviamente mi sarei alzato di sicuro prima di star male sul serio.

   La testa girava un po', la sentivo già un po' più leggera. Tirai il dado, mentre me la ridevo. Non mi ero mai sentito così, sebbene non fosse troppo diverso da quando sono particolarmente contento senza nessun aiutino. Ad un certo punto lasciai, proprio quando avevo ottenuto l'effetto che volevo provare e che non avevo mai provato.

   Niente, niente di particolare, solo un po' di leggerezza di sguardo. Mi guardavo intorno mentre sentivo gli occhi sfuggire da una parte e dall'altra. Mi adagiai sul divano buttando una mano in un pacco di patatine, mentre me la ridevo. Iniziai a parlare con un ragazzo seduto di fianco a me. Gli chiesi se si notava, mi rispose di si. -Hai gli occhi persi.-. Era vero. Mi sentivo semplicemente fluido. Iniziai a parlare con lui del più e del meno, di musica e di tante altre cose che fossero sufficienti a fargli capire che la testa mi accompagnava, mentre me la ridevo. Mi sembrava sufficientemente convinto di ciò e questo mi lasciò soddisfatto. E' bello mantenere comunque il controllo, provare qualcosa di nuovo fino al punto giusto, senza esagerare troppo. Stavo bene.

   Entrò anche lei in casa. Viene dalle mie parti, abitiamo tutti lì. Dietro i suoi occhiali neri studiò un po' la situazione, guardando quelli ancora in gioco sghignazzare senza pensieri, chi più e chi meno intero. Mi chiedevo come facessero alcuni di loro a non dare il minimo segno di cedimento. Pensavo e me la ridevo. Il suo sguardo incuriosito indagò anche me. Mi guardava con gli occhi di chi ne sapeva, cercando di capire a che punto fossi, con l'occhio indiscreto di chi sta bene e vuole capire quanto chi ha di fronte ci sta con la testa. Io la facevo fare, non avevo nulla da nascondere e cercai di farlo capire anche a lei, più che altro per soddisfazione personale. Questa volta però devo averci messo un po' troppo entusiasmo, fatto sta che non mi sembrava convinta, nemmeno quando avevo fatto l'asse d'equilibrio.

   Mi era uscito un po' storto, ma in fondo l'asse d'equilibrio esce storto a tutti, non è una giustificazione valida. Me la ridevo e, subito dopo essermi rimesso in posizione naturale, iniziò a girarmi un po' più forte la testa. Non avevo toccato altro, però l'asse d'equilibrio mi aveva particolarmente stancato. Fu la conferma che non ero pienamente razionale, ma il fatto che me ne rendessi conto era comunque positivo. Lei mi guardò un po' di meno, con l'aria di chi aveva già inquadrato perfettamente la situazione. Non sembravo preoccuparla più di tanto nel mio stato, e questo mi faceva sentire più rilassato. Ero uno di quelli che stava meglio, seduto quasi per caso tra quelli che non avevano toccato nulla, i quali guardavano il tavolo divertiti. Il mio sguardo fluttuava tra gli uni e gli altri, indifferentemente me la ridevo.

   Arrivarono le altre per andare alla festa a qualche metro da lì. Mi sembravano un po' spaventate, giustamente. Scrutavano anche loro gli sguardi di tutti, anche il mio. Questa volta  sembravo averle convinte, anche perchè dissi subito la verità. -E' vero, ho esagerato giusto un po', ma datemi cinque minuti per farmi uno shampoo e starò molto meglio.-.

   L'aria freschissima. Un peccato non correre. Correre alle undici e mezza, un po'con il fiatone, una canzone in bocca, lo sguardo fluido e la cintura di Orione in cielo, mentre me la ridevo. L'acqua calda, il primo sapone che capita, buon odore di more e frutti rossi, mentre me la ridevo. Il phon in faccia, due schiaffetti ed è tutto apposto, la testa gira un po' meno. L'entusiasmo non si perde, però, anche perchè ero io stesso a volerlo mantenere intatto. Non era per fingere, ero davvero, davvero entusiasta. Iniziai a ballare con gli altri che mi aspettavano, sebbene ballare non mi piaccia più di tanto, poi la testa ricominciò a girare.

   Di nuovo aria fresca, ma stavolta meno entusiasmo. La testa non smette di girare e tornano in mente tante piccole preoccupazioni. Il peggio non è tanto smettere di pensare, trovare una distrazione. Il peggio è il termine della distrazione, il ritorno alla vita vera. E torna tutto insieme. Tante piccole cose di poca importanza, tante cose che ti erano sfuggite per poco tempo, ritornano tutte insieme e ti cadono sulle spalle in un batter d'occhio. Una piuma è leggera, ma tante piume sono pesanti.

   Al diavolo la musica, adesso voglio stare un po'con me. Te ne vai tra i tigli a passeggiare. Non si può esser seri quando si ha 17 anni. E di anni non ne ho più 17. Era questa la mia motivazione. Non aver più 17 anni. Aver chiuso, chiuso finalmente una fase e aver modo di cominciarne una nuova. Ogni morto era ormai sepolto, ogni cosa al suo posto, finalmente, lontano da ciò che mi stava stretto. Finalmente a fare ciò che mi piace fare, vivere per un'aspirazione e mettere a frutto tutto ciò che ho imparato. Non rinnegare mai il passato, nè tutto ciò che di buono ha dato, ma prendere a calci quello che non ti è sceso, le amicizie andate, tutte le piccole sconfitte, le piccole grandi umiliazioni, le cazzatelle adolescenziali, me la ridevo malgrado quello. Avevo scelto di farlo per quello, era quella la mia motivazione, chiudere in una bella risata fluida e frizzante. Potevano capirmi tutti, nessun grande problema, niente di tragico, eppure quella sera cercavo di non farmi capire da nessuno.

   Quando lo sforzo diventò troppo forte e quando mi resi conto di aver tardato tanto, tornai indietro. Mi cercavano e mi ero allontanato un po' troppo. Non mentii, mi sentivo un po' in colpa e mi faceva male la testa un po' per tutto. Mi fecero compagnia per tutta la notte, con lo sguardo di chi si è preoccupato di chi, in fondo, non se l'aspettava, o di chi non ha capito cosa mi avesse spinto. Un po' intorpidito, cercai di farli sorridere. Era tutto apposto, tutto sotto controllo, solo l'ultima parte mi era un po' sfuggita di mano, ma non stavo malissimo in fondo. Qualche ora e sarei tornato quello di prima, tutto bene. 

   In fondo me la ridevo, malgrado tutto.

lunedì 8 ottobre 2012

Nemici.


     Sin da bambino, il futuro mi ha sempre affascinato. Mi divertivo qualche volta a pensare a ciò che sarei potuto essere in un futuro non troppo lontano, a quanto di me sarebbe potuto cambiare e se, una volta che quel futuro sarebbe divenuto presente, mi sarei ricordato di quello che avevo immaginato prima. Così, nel conservare le cose, alcune cose in particolare, mi divertivo a lasciare tracce di me al me stesso del futuro. Erano piccoli segni di riconoscimento su alcuni degli oggetti che avrei conservato gelosamente: quaderni, libri, peluche, dizionari, carte da gioco, qualunque cosa che, se in un futuro avessi ripreso con mano, mi avrebbe fatto ricordare momenti preziosi del periodo in cui l’avevo lasciata. Era come un gioco, ed in fondo lo è anche adesso.

     Quando si è piccoli non si riesce ad immaginare la vera dimensione di un addio. Lo si percepisce sempre come un “a più tardi”, e questo piccolo gioco con me stesso me lo ha fatto capire. Ogni volta che ritrovavo quelle tracce di me stesso, sorridevo pensando a quanto potesse cambiare tra un segno e l’altro, quante speranze potessero diventare realtà e quante altre restare solo sogni di carta, ma ogni periodo restava sempre una sorta di breve intermezzo tra un ricordo e l’altro, mai un baratro troppo grande. Tutto questo può anche funzionare, almeno finchè non si scopre l’addio.

     Mia madre continuava a ricordarmi che avrei dovuto fare pulizie sul serio nella mia stanza. Ormai i libri del liceo sono inservibili, è giusto lasciare spazio ad altro. Così, arriva il momento in cui si raccoglie tutto ciò che si era poggiato, per poterlo conservare una volta per tutte. Arriva l’addio.

     Il pavimento era cosparso dei miei diciotto anni in cinquemila pezzi di un puzzle di cielo azzurro. Con la freddezza di un boia, bisogna scegliere cosa tenere e cosa buttare via per sempre.  C’è sempre tempo per un sorriso, però. Gli appunti di chimica, di italiano, di latino, i libri scarabocchiati, i libri completamente intatti, gli stronzetti sorridenti dei libri di inglese con i baffi e le borchie scarabocchiate con la penna, il disegno di un pene con tanto di scroto incredibilmente realistico frutto della disperazione sulla mappa concettuale di Aristotele, i quaderni di matematica mai del tutto finiti, i quaderni di religione magri a causa dei troppi fogli strappati dalla metà, senza dubbio mi sono divertito a trovare tutto questo. Finchè non toccai quel quaderno di cui avevo completamente dimenticato l’esistenza. Quel quaderno che non doveva essere letto, quei pensieri che avevo cacciato molto tempo fa, quello che non avrei mai voluto trovare mai prima dei capelli bianchi.

     Non si dimentica il passato, ma ci sono alcune cose che è meglio non ricordare troppo vivamente. Il passato con cui si ha chiuso molto tempo prima, il passato che non si vuole più incontrare, viene fuori così, in un pigro giovedì pomeriggio, tra una risata e l’altra. Non riuscivo a smettere di sfogliarlo, brivido dopo brivido, era più forte di me. Finchè non l’ho strappato in un solo colpo, senza fiatare. E’ un tantino difficile strappare un quaderno, ma la forza di lasciarsi qualcosa alle spalle e per sempre, a volte ti fa fare cose che non ti credevi capace di fare.

     Avevo voglia di un bel fuoco. Il musetto dello scoiattolo sulla copertina del quaderno strappato sfrigolava e spariva in una nuvoletta pungente di diossina, i fogli ancora uniti si aprivano in briciole di cenere, alcuni di quelli staccati facevano qualche molle capriola, finalmente un po’ di sollievo. Avevo davvero affrontato quel resto andato di me, salutato un passato che non volevo più incontrare. “Mai più”, le uniche parole che il fuoco mi stampava sugli occhi, mentre una goccia di sudore scendeva sulla tempia.

     Finito il fuoco, rompevo la cenere con la pinza del camino, per sentirne meglio l’odore, mi è sempre piaciuto. Eppure non mi sentivo troppo felice. Mi sentivo un po’ perso, un po’ più vuoto.

     Finisci per affezionarti più facilmente a quello che odi rispetto a quello che ami. Finisci col sentirti tranquillo pensando a quello che sai essere il tuo nemico, la cosa contro cui scagliarti in ogni momento, con una battuta acida o un pensiero cattivo. Abbiamo un costante bisogno di nemici, in qualunque periodo della nostra vita, abbiamo un costante bisogno di qualcosa da combattere. Un bel gomitolo di fili da sbrogliare non troppo in fretta, concentrando gli sforzi mentre si immagina il momento in cui quel gomitolo non ci darà più alcun problema. Ci sforziamo, pensando al momento di quell’addio come ad un momento felice, ma in fondo non è mai un momento felice.

     Da un nemico si passa ad un altro, sconfiggendo quello che si era ormai imparato a conoscere, quello con cui scontrarsi dava più forza nel corso della giornata, semplicemente perché, dopo tanto tempo, erano chiari i luoghi dove colpirlo più forte. Da un nemico si passa ad un altro, magari più forte, ma sicuramente diverso da prima. Non si lascia un nemico senza avergli voluto bene.

     Non si lascia un posto in cui ci si sente stretti senza provare almeno un po’ di dispiacere. Terminare ciò che è bello è sempre più facile di terminare ciò che è brutto. Lasciare il proprio letto, il proprio primo puzzle finalmente completo, il papà fin troppo paziente, la mamma che è sempre la mamma, si può lasciare questo con un sorriso.

     In silenzio, con il cielo della notte sporco di uno spruzzo del sole, in silenzio ho abbandonato il mio nemico.

     In silenzio ho pianto mentre l’alba mi rideva in faccia, ingozzandosi degli ultimi brandelli ancora freschi della notte.