lunedì 16 luglio 2012

Digitale.

    Dieci anni fa si iniziò a parlare del digitale terrestre. Il Tg1 era ancora il telegiornale più seguito d'Italia e ho ancora nella mente i servizi dei giornalisti sulle conferenze stampa sul digitale terrestre. Mi ricordo che le organizzavano in una sala tutta blu, con una scrivania grande e dietro la scrivania c'erano sempre Berlusconi e altri tipi in giacca e cravatta come lui. Parlavano del Digitale come della rivoluzione tecnologica, dell'avanguardia della televisione di cui il nostro paese si stava fornendo. In quel periodo iniziò la grande corsa all'acquisto dei primi decoder, a cui anche la mia famiglia ha partecipato, anche perchè c'era lo sconto di 50 euro.


    Un giorno papà aveva portato a casa questa scatola con dentro il famoso "decoder di Berlusconi", perchè così lo chiamavano tutti quanti. L'ho aiutato a montarlo e abbiamo iniziato a vedere la tv col digitale. In effetti, la qualità dell'immagine era molto migliore. Finalmente potevo vedere con più dettaglio la maculazione del pelo di Rex e le pieghe della sottana di Don Matteo quando fa il saltino dalla bicicletta. 


    E poi c'erano i canali interattivi, roba che potevi giocare a giochini scemi con il telecomando sui canali che lo permettevano. Per uno stronzetto di quinta elementare, tutto è buono per non fare un cazzo. Anche parcheggiarsi sul divano nei pomeriggi spenti a giocare ai giochini del decoder con la bocca mezza aperta ridotto alla reattività di un pesce agonizzante.


     Poi l'interattività la tolsero, non ne ho mai capito il motivo. E anche i canali ogni tanto iniziavano a non vedersi più. E dire che il digitale doveva essere diverso, dicevano che si sarebbe visto senza problemi tutto il giorno, non come la tv normale che ogni tanto ti faceva il nevischio sul finale del film o sulla puntata di Dragonball. Il digitale il nevischio non te lo fa. Il digitale, quando tutto si sta vedendo bene, di colpo inizia a squittire e a farti uscire rettangoli colorati sullo schermo, il che è fastidioso come il nevischio, solo che a me all'inizio faceva tanto ridere.


    -Quando faranno lo switch-off si sistemerà tutto, si vedrà sempre tutto senza problemi.-. Lo switch-off totale avrebbe segnato di lì a qualche anno la fine di un'era, l'inizio della nuova televisione. Per un bambino scemo come me, lo switch-off, per come ne parlavano, stava assumendo contorni millenaristici. Avrei assistito alla fine della televisione di una volta, avrei visto la televisione e raccontato ai miei figli increduli di quel periodo in cui alla tv c'era il nevischio e qualche volta non si vedeva niente. Wow, pensavo tra una puntata e l'altra di Dragonball.


    Di colpo, poi, del digitale non si parlò più. Spuntò fuori che lo sconto dei 50 euro del decoder di Berlusconi era illegale o qualcosa così, il digitale diventò ormai banale, una cosa che si dà per scontata, senza troppo stupore. Iniziò anche lo switch-off e, dopo anni di torpore, squittii e interferenze a rettangoli, annunciarono la vera novità del digitale. La nuova offerta di canali, canali nuovi, canali eccezionali, roba che non si è mai vista.


    Ormai la tv non mi eccita più di tanto. Sono cresciuto, se voglio vedere qualcosa c'è sempre lo streaming su internet, e poi ho sempre avuto di meglio da fare. Però ero curioso di vedere questi nuovi canali, questa "nuova offerta".


    Un pomeriggio ho acceso la televisione. C'era Enrico Papi che conduceva un'ennesima replica di un quiz tv. Una formula banalissima. Due concorrenti rispondono a delle domande, ma soprattutto giocano ad una specie di roulette gigante, in cui la palla è una palla da basket tutta nera. La maggior parte del tempo della trasmissione consiste nel far vedere il conduttore, i concorrenti e il pubblico guardare questa palla girare attorno alla roulette sperando che cada in una casella verde, gridando tutto il tempo "Ver-de! Ver-de! Ver-de!".


    Ero lì, alle 16 e 30 a guardare un centinaio di persone guardare una palla che gira. E la guardavo anche io. E quella cantilena continua mi stava penetrando. Anche io dicevo "Ver-de! Ver-de!" piano piano, a mezza bocca, ma c'ero anche io. Avevo immaginato il digitale come qualcosa di grande, avevo immaginato questa novità come qualcosa di diverso, che mi avrebbe permesso di vedere quello che volevo io e quando volevo io. Che mi avrebbe dato la libertà di scegliere, almeno cosa guardare.


   La libertà consiste nel guardare Enrico Papi 3 ore prima del solito.

martedì 10 luglio 2012

Dormire.


      Non ho mai capito come mai i miei coetanei vivono il momento del risveglio così dolorosamente. Tutti quelli che conosco e che ho conosciuto mi hanno sempre parlato di una vera e propria fatica di svegliarsi, di un torpore difficile da vincere, del dolore lancinante agli occhi quando accendono la luce, della sensazione di galleggiare in un barile di olio. Mi sono da sempre svegliato senza fatica, alzato dal letto come da una sedia, soddisfatto del mio sonno e sentito il mio corpo attivo come chi ha appena preso un caffè.
       
      Sono passati diversi anni così, finchè un giorno anche io mi sono svegliato male. Anche io appena sveglio ho avuto gli stessi sintomi da sopravvissuto in una catastrofe nucleare, gli occhi appannati, il dolore della luce e tutta quella roba lì. In quel momento ho capito l’importanza del caffè, da quel momento per svegliarmi ho avuto bisogno di un appoggio concreto. Non ne capivo il motivo, ma di colpo era così e non più come era prima.
     
      Nelle mattine a studiare per questo fottuto esame orale, tra un libro e l’altro, non vedevo l’ora che fosse pronto da mangiare per poter avere il tempo, dopo mangiato, di andare a dormire. Neanche questo mi era mai accaduto, come altrettanto stranamente accadeva che, dopo il pranzo, quell’oretta che prendevo per riposare in realtà mi stressava più di ogni altra cosa. Con tutto il ventilatore acceso, non facevo che rivoltarmi nel letto, sudare dalla schiena, cambiare posizione, sudare dalle ascelle, cambiare ancora posizione, sudare dalla pancia, sudare dal naso, sudare dalla fronte finchè il sudore non era così tanto da passare attraverso le sopracciglia e arrivare a bruciarmi gli occhi. Quando, inutilmente, dopo un’ora la sveglia suonava, ero più stanco di prima e costretto ad aprire di nuovo i libri, ad aspettare la sera per riposarmi e, anche di sera, rivivere tutto quello che era successo a pomeriggio. Roba da tossici in astinenza.
      
      Il bello è che per l’esame non ero affatto preoccupato. Non lo sono mai stato, non era l’esame il problema. Il problema era la fatica di prendere sonno e di svegliarsi.  Credo che sia questa la vita dei grandi: avere una giornata di merda in cui lavorare in funzione del momento di riposo, avere il momento di riposo in cui non è possibile riposarsi, finire il momento di riposo e ricominciare a lavorare in attesa del prossimo momento di riposo.

      Non posso negarlo, è tutta colpa dei brutti pensieri. Tutta colpa di quelle cose che se ci pensi non ti fanno concludere un cazzo. E non solo, ma quando ci pensi non ti lasciano proprio più, non ti fanno concentrare su nient’altro che quelle cose. Le cose che non ci dormi la notte.

      Ecco, credo che serva a questo trovare un lavoro, in sostanza. Trovare del tempo in cui avere qualcosa da fare per non pensare durante il giorno a quelle cose che non ci dormi la notte. E tanto più ti stanchi al lavoro, tanto più ti ritrovi con la cera di un caffè annacquato quando riuscirai a trovare tempo per riposarti. E allora sarai così stanco che alle cose che non ci dormi la notte non hai proprio la forza di pensare, così ti metti a dormire e riesci a svegliarti in maniera decente.

       L’altra mattina ho studiato tanto. Ho mangiato un po’, non troppo perché non avevo fame, ho visto la partenza della Formula 1 e mi sono messo a letto con gli occhi chiusi ad ascoltare Gianfranco Mazzoni vomitare commenti per la partenza del Gran Premio di Silverstone. Poi mi sono addormentato quasi subito e mi sono svegliato un’oretta dopo.

       Erano tre mesi che non dormivo così bene.