lunedì 25 marzo 2013

Scoppiato.

     -Al militare, quando uno arrivava al tuo stato, significava che era "scoppiato".-, mi fa mio padre al telefono. Come tutte le persone che parlano poco, mio padre ha sempre ragione. -...si. Non potevo trovare parola migliore. Hai perfettamente ragione, è così, sono scoppiato.-. Se non sei un militare, se ti trovi all'università, scoppiare significa avere così alla nausea un esame da uscire di testa. E' un meccanismo inconscio, vengono fuori tante piccole paranoie inutili e senza senso che cercano disperatamente di avere la priorità sul problema vero e proprio: dover studiare per questo esame di merda.

    E' una condizione strana. Non sei pazzo, non esci pazzo, solo che cambi umore da così a così. Sei irritabile, ti svegli male, dormi male, all'ora di pranzo sei di cattivo umore, all'ora di cena sei di cattivo umore e non hai voglia di vedere nessuno a volte. Pranzi in contemporanea ai vecchi negli ospizi verso le dodici e trenta, ceni in contemporanea alle più ligie suore di clausura verso le diciannove e trenta, ti svegli presto, metti i primi vestiti che non puzzano e vai a studiare.

    -Ciao! Cosa mangi?-. Alla mensa sono quasi di casa, gli inservienti mi conoscono tutti. -Prendo il risotto...porto via.- -Come stai bello?- -Stanco.- -Mamma mia, che palle, solo una cosa sai dire?-. Prova ad essere uno scoppiato sotto esame, prova a sentire ogni giorno la stessa domanda, prova a rispondere ogni giorno con sincerità, prova a evitare di rispondere ad una frase del genere con: -Si vede che non hai mai studiato un cazzo in vita tua.-. Sono scoppiato però, non sociopatico. Sorrido, -Che posso dirti più di questo?-, prendo la busta e vado a pranzare a casa mia.

    I libri di fisica di basso livello contengono esercizi che sembrano fatti per prendere in giro gli studenti. Una volta ho calcolato la pressione che Superman doveva esercitare per bere un succo d'arancia con una cannuccia lunga 200 metri. Un'altra volta ho calcolato la differenza di potenziale che bisognava applicare agli elettrodi alle tempie di un paziente per fargli un simpatico elettroshock alla corrente di 4 milliampère. Il libro sembra volerti umiliare proponendoti situazioni del genere, con la scusa di rendere la didattica più appetibile ad un moccioso della tua età che, mediamente, pensa solo alle belle ragazze e a informarsi su "che ha fatto il Milan". Così, continui a fare esercizi così sperando di non doverne fare mai più in vita tua.

    Il posto in cui vivo è pieno di verde. Il sole primaverile mette di buonumore, cammino sotto il mio felpone nero, mentre un venticello se la prende con i miei capelli sempre spettinati. Vedo gente che conosco. Indossano cose con stampato il nome di altre persone, che sembrano aver rubato i vestiti a qualcuno che ha la mamma così premurosa da scrivere il nome del proprio figlio su ogni capo che indossa. Non vorrei essere nei panni dei piccoli Anthony Morato, dei fratellini Giorgio ed Emporio Armani, o ancora del piccolo Roberto Cavalli quando torneranno negli spogliatoi e si troveranno con un paio di pantaloni o con una magliettina di meno. Se la tirano così tanto da non poter salutare uno con il felpone della Decathlon, non ora che stanno in gruppo. Io li saluto lo stesso, mi metto a ridere e sto in compagnia di qualcuno a cui non fa schifo il mio abbigliamento. Ve lo garantisco, il felpone non l'ho rubato al signor Decathlon, l'ho comprato io.

   Quando sei scoppiato, ogni occasione è buona per ridere. Spunti di cinismo a non finire, a tratti risulti quasi piacevole come quando sei al massimo delle forze. Se sei scoppiato, non sei triste, sei solo costantemente stanco. Una sera come tutte le altre, ti ritrovi al ristorante ad ordinare una pizza. C'è troppa gente, l'attesa è lunga, finchè una del gruppo non propone di ordinare delle pizze ad un'altra pizzeria e di andare a mangiarle tutti insieme in aula studio. Geniale.

    Il sabato sera le aule studio sono vuote. Non credo che siano mai entrate delle pizze in quella stanza, o delle bottiglie di coca cola, ma c'è sempre una prima volta. 15 persone in una stanza bianca, 15 matricole tutte scoppiate, o quasi. Sicuramente io più di tutti. Iniziamo a giocare a giochini stupidi, a proporci indovinelli e barzellette idiote, proprio come nelle migliori assemblee di classe. La lavagna è piena di schemini per rompicapo, fatti da quelli che li vogliono risolvere a tutti i costi, e tu sei lì, a cercare di spremere il meglio anche da te, che per stasera non si studia. Cartoni di pizza sparsi sui banchi e ricordi liceali di feste natalizie, di cui ho fatto a meno da un anno appena. Finito di mangiare, la stessa ragazza di prima propone una partitella a nascondino. Davvero geniale.

    Metti insieme 15 ragazzi tra i 18 e i 21 anni. Mettili a giocare a nascondino in una sera dal cielo aperto. Falli gridare "mamma per me" mentre si schiantano le mani al muro ruvido fino a farsi sangue. Quelli che si mettono a cercare gli altri comunicano tra loro via Whatsapp, mentre ogni tanto qualcuno grida al fiasco, e si spera non venga la sicurezza del posto a rompere il cazzo. Se ti vedono, corri. Corri e basta. Libera te e, se ce la fai, libera tutti. Nel frattempo, un Dante contemporaneo vestito da rapper, ci urla contro qualcosa per prenderci in giro, perchè dovremmo vergognarci di fare una cosa così. Dal chiuso della sua stanza, oltre la porta circondata da sacchetti della spazzatura che non ha voglia di portare al bidone, il giovane scoppiato ride indignato elemosinando attenzioni. Siamo troppo veloci, però, troppo impegnati a non pensare a lui. Scoppiati siamo tutti, sebbene pochi vogliano ammetterlo.

    -Ehi, sarà questo il nostro nascondiglio segreto, non lo dite a nessuno, così per le prossime volte usiamo sempre questo.-, mi dice una durante una partita. Ed io mi nascondo insieme a lei e ad altre quattro scoppiate come me. Lo so già, però, a questo gioco non giocheremo mai più. Il vantaggio di essere scoppiati è la voglia di tornare indietro. Il vantaggio di trovare altri scoppiati è poterlo fare per qualche ora, finchè si è in tempo.

    Non si può mai sapere quando arriverà il momento in cui ripenseremo a questi momenti e proveremo vergogna.

venerdì 15 marzo 2013

Paparazzingher.

Sono arrivato a 2000 visite. Che siate qui per caso o perchè sapete della mia insana passione, vi ringrazio di cuore per il vostro appoggio. Scrivo perchè mi rilassa, ma avere persone che leggono ciò che produco è sempre una soddisfazione enorme. Che vi conosca o meno, che mi conosciate o meno, grazie mille.

E ora qualcosa di completamente diverso.
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    "Porco D**!". Afferra i bordi del distributore automatico e lo spinge avanti e indietro. Gli ingranaggi sembrano essere davvero decisi a non dargli ciò per cui ha pagato, così cerca di convincerli con più veemenza. "Porca Ma*****!!", sbotta cercando di spaventare il macchinario, sperando che prenda vita e gli chieda anche scusa. Niente, questo ammasso di ferro sembra proprio essere insensibile, e per giunta ancora meno credente del povero idraulico affamato, che guarda l'orologio e manda affanculo il ladro senza un cuore.

    La cappella è grande quanto una piccola stanza. Ha quattro file di banchi probabilmente presi all'Ikea, qualche sedia accomodante, delle immagini sacre e un piccolo altare intonacato. Il prete ha la stazza di Galeazzi e aspetta tutto il giorno nella piccola stanza, probabilmente fredda. I finestroni permettono di vedere tutto all'interno, anche le domeniche in cui il prete dice la messa ad una platea inesistente. Compie ogni rito da solo, senza nessuno ad ascoltarlo, solo Dio, lui stesso e magari la gente che abita al piano di sopra, sempre se non è da qualche altra parte.

    Credo in Dio, ma non vado molto spesso a messa. Tecnicamente, non vado mai a messa, più che altro perchè ho da studiare. E' una pessima scusa, me ne rendo conto, qualche volta me ne dispiaccio anche, tranne che nei periodi d'esame. In quei periodi non ho tempo nemmeno per dispiacermi, solo per studiare, mangiare e dormire. Vado in aula studio verso le 20 di una monotona domenica sera. Passo di fronte alla cappella, c'è anche qualcuno dentro ad assistere al rito della settimana. Vado a studiare, dopo circa un'ora esco a fare una telefonata. Sono ancora lì, a celebrare la messa. La mia telefonata dura un quarto d'ora e la messa deve ancora finire. Ci credo che non va nessuno a seguirla. Chiudo la telefonata con un sorriso ironico, di cui mi pento qualche secondo dopo.

   Non passa giorno in cui non senta almeno una persona chiamare in causa un santo, la madonna o il megadirettore in persona. Non mi dà fastidio sentire bestemmiare, ognuno è libero di fare ciò che meglio crede, ma per principio non bestemmio. Non bestemmierei neanche se non avessi fede, semplicemente per rispetto di chi ha fede e si sente disturbato dal sentire qualcuno che impreca in quel modo. "Porco D**!". Quando lo sento mi guardo intorno. Trovo sempre qualcuno che si stupisce e sorride, qualcuno che pensava alla stessa cosa e in silenzio approva quelle due sante parole, qualcuno che abbassa la testa e stringe il muso.

   Chi bestemmia non se ne rende conto, non essendo nella dimensione della fede e, magari, non conoscendone neanche le proporzioni. Se si prova a chiedere a chi bestemmia il motivo per cui lo fa, sentirà dire che è normale arrabbiarsi e prendersela con qualcosa che non esiste,  ovvero Dio. Se poi si prova a chiedere come fa ad essere tanto certo che Dio non esista, la risposta sarà qualcosa riguardo alle guerre, alla fame, alle carestie, al fatto che se ci fosse Dio non permetterebbe tutto questo. "Quello è merito del diavolo, non di Dio." "Ehi, senti, che cavolo! Volevo solo bestemmiare, Cr**** Santo!"

   La bestemmia è un atto di potere. Se qualcosa va storto, bisogna dimostrarsi forti. Per dimostrarsi forti e per sfogare la rabbia, ce la si prende contro qualcosa di cui non si ha paura.   Per questo si chiama Dio in causa. Lui in persona o chi sta lì vicino, tutta colpa sua che ha permesso questo. Bestemmiare significa chiedere "Ma perchè a me questa cosa proprio in questo momento?", e quando non si ha la risposta a questa domanda, si trasforma automaticamente in odio contro qualcosa di immenso.

    Dio è il rifugio degli afflitti, ma essere afflitti non va più di moda da un pezzo. Chi crede in Dio è debole, chi bestemmia è forte. Chi crede in Dio segue la moda, chi bestemmia è un ribelle anticonformista. Nessuno vuole essere una pecorella che segue la massa, così tutti iniziano a bestemmiare, per evitare di essere uguali agli altri idioti senza cervello che credono in qualcosa paragonabile a Tonio Cartonio. E' bello ogni giorno avere a che fare con un'enorme massa di anticonformisti. E' una grande vittoria contro il sistema.

   Una splendida sala piena di ultrasessantenni in costume è pronta a scegliere in che modo rispondere alla blasfemia dilagante, in quale persona si tradurrà l'opposto della blasfemia. Vince un tedesco strano dal nome ancora più strano. Sembra Zio Fester con i capelli, o ancora di più somiglia al cattivo di Guerre Stellari. Sceglie un nome che sa di antico, con un numero ancora più strano, ma tutti lo chiamano Paparazzingher.

   La terra del rigore partorisce l'alternativa all'alternativa. Fa un po' paura a vederlo, ma ha un tono di voce che suscita tenerezza. La sua bocca mastica dolci parole italiane e le trasforma in schegge germaniche. Tante consonanti quasi a caso in una figura che suscita il sorriso. Non un nome più appropriato per Paparazzingher.

   E' il nuovo capo di un'istituzione in crisi. Un sistema di regole rigide in una società liquida, che deve cercare di accontentare per evitare di perdere seguaci. La scelta è tra accomodare le scelte di un'umanità in progresso e svolgimento oppure diventare ancora più rigidi e cercare di domare il gregge famelico.

   I concetti ecclesiastici sono troppo complessi per essere spiegati a gente che non ha tempo, bisogna colpire con frasi brevi e significative, che suscitino curiosità ed attenzione. Il nuovo catechismo non è solo un librone inutile, lo danno anche in edicola nel formato tascabile, tutto pieno di risposte alle domande più frequenti in un linguaggio abbordabile anche ai più lenti. Il marketing convince abbastanza e sembrano esserci meno scuse per chi non vuole avvicinarsi al mondo mistico del Signore Iddio solo per pigrizia. Fatto questo, è ora di passare a nuovi slogan e nuove frasi d'impatto. L'aquila germanica non ha posa e batte il pugno sul tavolo di un mondo in rovina. 

   Paparazzingher non si fa attendere, si alza nel suo rigore e sentenzia: "I profilattici non combattono l'HIV, anzi, ne facilitano la diffusione.". Il povero vecchio aveva mancato l'obiettivo, e anche di molto. Probabilmente voleva intendere che "Se non foste tanto fissati con il sesso, vedreste come l'HIV non si diffonderebbe tanto.". Ed è vero, è equivalente al modo migliore per non prendere l'influenza: non uscire mai di casa. Le parole sono importanti, però, ed una frase del genere aveva bisogno di parole più chiare, per quanto discutibile. La reazione dell'opinione pubblica si è potuta tradurre molto banalmente in un: "Ma che cazzo dici?".

    L'anziano ci riprova aprendo ai musulmani. E' un argomento delicato, ma bisogna risolvere anche questo, in nome della stabilità della Santa Istituzione. Indetto un dibattito, anche lui prende la parola, con discorso fermo e deciso, inevitabilmente frainteso. Un discorso contro la guerra santa viene interpretato con qualcosa che suona come "il vostro Dio è un pazzo sanguinario". Inevitabili polemiche e inascoltate le repliche, che hanno il suono di un miagolio in mezzo al traffico caotico. Anche questa volta, tutto il mondo tuona un perentorio "Ma che cazzo dici?"

   E ancora una volta con i negazionisti della Shoah. Non lo vogliono neanche all'università, Paparazzingher. Per giunta viene fuori che lo vogliono ammazzare per dare posto ad un italiano. Questo ed altri documenti segreti vengono fuori, per mano di un hacker e un cameriere traditore. Condannati dal tribunale vaticano, che sembra quasi imbarazzato a doverlo fare, a qualche anno di galera. Paparazzingher, però, non è cattivo. Li perdona e li manda a casa a giocare.

   Paparazzingher è stanco. In un mondo che cambia, nessuno vuole starlo a sentire. Stringe il pugno immerso nell'acqua cercando di prenderne un po', tira fuori il braccio fradicio stringendo il nulla in mano. Ha solo idee antiche in cui credere, ha vissuto in funzione di quelle idee, e il mondo gli ha riso in faccia. Come l'uomo che fallisce, abbassa la testa e va via.

    Cerco di calmare l'ansia prima di essere chiamato all'orale. I professori interrogano due ragazzi alla volta e la gente intorno a me ripete. Accendo il cellulare e vado sul sito di qualche agenzia stampa per vedere che succede nel mondo. Leggo la notizia e mi sembra assurdo. Non era mai successo. In un istante avevo capito ogni cosa, avevo visto le lacrime di un uomo fallito nel breve di una dichiarazione ufficiale. Per quanto non appoggiassi le sue idee, è triste vedere il fallimento di un uomo. Paparazzingher piange e se ne va. Sorridendo dico "Ragazzi, il papa si è dimesso.", ed un piccolo coro mi intima di star zitto, "che cazzo pensi a 'ste cose, coglione, che hai un esame da fare! Cazzo te ne frega del papa!?!".

    Vedendo un vecchio piangere la rovina dei suoi giorni, ho chiesto ai miei coetanei di guardarlo piangere. Ho sentito tuonare anche su di me quella frase perentoria, "Ma che cazzo dici?".

    Mi è parso anche di sentire l'eco di un "Porco D**".

domenica 10 marzo 2013

Cavallette.

   Le giornate di primavera sono belle da passare in bicicletta. Te ne vai per le campagne piene di verde, con il cielo pulitissimo e immerso nel sole. In realtà ho sempre detestato l'insieme dei colori verde dei prati, azzurro del cielo e bianco del Sole. E' un abbinamento che non funziona bene, il verde con l'azzurro e con il bianco. Sembrano i colori della bandiera di uno stato dimenticato dalle relazioni diplomatiche, che sta da qualche parte nel Pacifico, una di quelle bandiere che si vedono ogni tanto, che hai già visto una volta ma non sai di che stato è, poi un giorno te lo dicono e tu fai "Ahh, si, è vero", e il giorno dopo te lo sei già dimenticato.

   Nulla toglie, però, al piacere di una scampagnata. Soprattutto quando non hai troppi doveri e il tuo problema principale è ancora sapere come finisce Dragonball. Immancabile il papà, con tuo fratello già un po' più impegnato di te, ma che un buchino è riuscito a trovarlo. Lasci la bicicletta da una parte e vai verso qualche pianta che attira la tua attenzione. Di colpo, ti arriva un ceffone sul polpaccio, ti giri a vedere e ti accorgi che un'enorme cavalletta ti è saltata addosso. Inizi a scalciare e a maledire qualche specie animale (per i santi è ancora troppo presto), quando finalmente l'insetto cambia obiettivo lasciandoti un bel segno rosso sulla gamba. Io odio le cavallette.

    E' passato molto tempo da allora, ma quella è stata una di quelle sensazioni che non mi riesce di dimenticare, come quella di quando morì il papa, o anche quella della mezzanotte del l'1 gennaio 2000. Il posto in cui abito ora è immerso nella campagna. Tra poco è primavera ed inizio già a temere l'arrivo di qualche cavalletta. Un giorno, andando in facoltà, vedo per terra una sagoma allungata, con due sporgenze verso un'estremità. Riconosco subito quello che ero sicuro che prima o poi avrei incontrato, giro i tacchi e faccio la strada lunga. Dannate cavallette.

   Il pensiero mi accompagna per qualche ora, poi torno a casa e la trovo sempre lì, esattamente dove l'avevo vista l'ultima volta. In un certo senso mi tranquillizzava la cosa, quantomeno non dovevo aspettarmi di vederla sbucare da qualche parte inaspettatamente per ritrovarla a zampettare allegramente sulla mia faccia, mentre maledico sia specie animali che qualche coro angelico in preda al panico.

  Quella sera è piovuto parecchio. Il mattino seguente, uscendo di casa, con un certo sadismo ho immaginato quella bestiola affogata in qualche pozza di fango, per poi trasalire un momento non ritrovandola più nel posto in cui era. Facendomi coraggio, avanzo per la strada che avevo abbandonato, mi guardo intorno e ritrovo la stessa sagoma confinata all'angolo della porta a vetri, girata verso il muro. La cosa mi tranquillizzava di più, quantomeno era lontana dal percorso. Decido di farlo notare a qualcuno, magari ha più coraggio di me ad avvicinarsi a quella cosa.

   Scopro con una certa sorpresa che non sono l'unico a cui fanno schifo le cavallette. Mi sento un po' meno smidollato e quando passo di lì ho un po' meno paura. La cavalletta è rimasta lì per giorni interi, non si è mossa di un secondo. Due erano le ipotesi, o era morta o stava facendo la muta. E nel secondo caso, aveva scelto decisamente il posto sbagliato. Mi avvicino con un collega e decidiamo che la cavalletta stava facendo la muta. Una cosa meravigliosa, ma andava sterminata senza pietà, "prima che qualcuno si possa fare male", dice il mio collega.

   Torno a casa con certi pensieri sull'evoluzionismo e vado a fare il mio solito riposino pomeridiano, non senza sentirmi un tantino crudele nel pensare a come poter distruggere una bestiolina sotto le coperte del mio letto.

   La cavalletta era lì da circa tre settimane, ormai mi ero abituato a quella cosa ferma lì in attesa di qualcosa. Uno sguardo lì ogni volta che passavo non riuscivo a non buttarlo, finchè un giorno non ho visto quella cavalletta completamente rivoltata sul dorso. Tra l'ipotesi che stesse in quella posizione a guardare il soffitto perchè i vicini mettono spesso Gigi D'Alessio a volume alto e l'ipotesi che fosse morta mi è sembrata più evidente la seconda.

   Molto spesso ci sono cose che ci fanno paura, che incontriamo spesso durante il giorno, che ci passano in mente toccando ogni singola cellula e scatenando piccoli tornado di terrore puro condensati in qualche secondo, il cui risultato è il brivido incontrollato tra un boccone e l'altro, mentre si studia o mentre si canta qualche canzone stupida sotto la doccia. E' un mostro in agguato per molto tempo in mente, pronto a saltare fuori alla prima occasione per rovinarci un paio di minuti della giornata.

   La cosa curiosa è che poco a poco, se ci facciamo caso, queste piccole paure, messe insieme nei loro momenti di attacco durante la giornata, a lungo andare riescono a rubarci, sommando i momenti, ore intere della nostra vita, che avremmo potuto destinare all'amico che non sentivamo da tempo, a portare la busta della spazzatura, a guardare il sole facendo un bel respiro di aria fresca. Sono le cavallette a toglierci il tempo per tutto questo, le piccole cose di valore inestimabile, portate via da qualcosa che, alla fine, non era nulla di spaventoso.

   Intanto, una cavalletta se la ride dal paradiso delle cavallette. E' riuscita a godersi la vita senza finire tra le fauci di un gatto o di un cinese di passaggio, ed è riuscita a godersi anche la morte prendendo per il culo una decina di altri animali trenta volte più grandi di lei.

   Stupidi umani.