martedì 26 febbraio 2013

Crisi.

    Il paese si sveglia con le galline. Il custode, il più anziano, se la prende comoda, tanto non si apre prima delle nove. E' una giornata particolare, il custode lo sa, e tra un boccone e l'altro della zuppa di latte pregusta già i dibattiti dei colleghi di una vita. Con un certo dispiacere, toglie le mani dalle tasche per offrirle al vento gelido e ai cardini delle vecchie porte di legno verniciato da troppo tempo. Con mano esperta, spinge le ante senza rompere i vetri ed accende la luce per dare il buongiorno anche alla foto sbiadita di Aldo Moro nella cornice a giorno.

   Uno ad uno arrivano, per poi sedersi attorno al tavolino di plastica. Il termosifone non basta a scaldare la saletta, così ognuno è nel suo cappotto, in silenzio. Si salva la parola, perchè ancora di parola non è momento, ancora di sprecare orazioni e filippiche non è momento. Mancano gli altri. "Scopa!", grida uno, seguito da qualche risata stanca e da una bestemmia. Il televisore dorme ancora, nessuno ha il coraggio di accenderlo, non ancora.

   Non si parla d'altro. Tra i rumori di tazzine, piattini e monetine, il discorso si evita: non si sa mai chi si potrebbe incontrare. Arriva il solito, quello che non si fa mai i fatti suoi, ne trova uno, quello giusto, ed attacca il discorso. "Sei andato a votare?" "No, ancora no." "Eh...l'imbarazzo della scelta." "Già. Ma *** è proprio un buffone..." "Per favore, dai, sono solo le nove...smettila." "Va bene, va bene...tanto vince ****.".

   Sono delle strane elezioni, non si sa già chi sarà a vincere. Da piccolo, guardavo le elezioni in tv, si parlava di rimonte, poi arrivava mio padre e diceva "Vabbè, tanto vince sempre lui...". Io tifavo per lui da piccolo, perchè, come facevano con me, lo prendevano in giro per la sua statura e perchè aveva il nome curioso. Stavolta è diverso. I sondaggi non parlano, non danno nessuno per vinto, proprio perchè pensano tutti di aver vinto. Il silenzio è pesante e tutti sono curiosi. Ti dispiace, in fondo, di non poter andare anche tu a votare, a dire la tua. Questi dannati esami non potranno mai finire, eppure lo senti nell'aria, saranno elezioni strane, ti dispiace di non poter rendere il tuo servizio. Tra un capitolo e l'altro, però, il cellulare è sempre aperto sull'agenzia di stampa, quella che sa tutto prima di tutti, così se succede qualcosa lo sai ed eviti anche di sentirti troppo in colpa.

   Mezza giornata e pennichella. Chiudi gli occhi, e nel frattempo, in qualche locale di Roma succede qualcosa. La tensione è alta, ma lui sembra piuttosto sicuro di sè. Si accende un altro sigaro e parla al telefono con sua moglie. Il collega di una vita ride e scherza, "tanto vinciamo noi, ce la facciamo, stavolta si.". Qualcuno è ancora scettico, ma non andrà come tutte le altre volte. Si sente nell'aria, come se girasse sopra le teste di tutti, il profumo del mattino con l'oro in bocca. Muro per muro rimbomba in silenzio, "Si può fare.".

   Da un'altra parte si batte il pugno sul tavolo, tra un bicchiere di vinello e l'altro. Si festeggia già, come se lo si sapesse, come se ad ogni modo fosse una vittoria. Ci sono tutti, c'è quello che si sta zitto, quello che si è vestito bene, l'amico che si alza e racconta la barzelletta stupida e fa ridere tutti. Ad ogni modo, anche lì vive la vittoria.

    In un altro posto, la tensione alberga come mai. Si respira il sudore freddo, lui, attento, in una stanza regge il telefono e parla con serietà. "Ce la facciamo? Stavolta ce la facciamo?" "Certo che si, ce la facciamo. Ovvio che ce la facciamo. Noi ce la facciamo, ce la facciamo sempre.". Nessuno osa disturbarlo, una volta riattacato il telefono squilla ancora, e lui risponde con calma serafica, come se nulla fosse, come se fosse l'impiegato ideale delle poste. Fuori si cammina, avanti e indietro, si aspettano novità, soffiate, lampi di genio. Finita la telefonata, poggia il telefono. Uno strano silenzio, quasi inatteso e mai voluto. Batte piano i polpastrelli l'uno sull'altro e guarda il riflesso della lampada sulla vetrina della sua stanza. Nessuno sa a cosa stia pensando, neanche lui.

    Dietro i suoi occhiali, dopo mangiato, anche lui aspetta. La domestica sparecchia tavola e la moglie chiacchera amabilmente con l'amica al telefono. Non si è alzato dal tavolo, ed in silenzio aspetta qualcosa. Con il dito, piano, gioca con una mollica di pane, ricordando qualcosa della sua infanzia. Non avrebbe mai pensato di potersi ritrovare a questo punto nella sua vita. Aspettare, anche lui in silenzio, aspettare che accada qualcosa. Un paio di scarpette veloci e un quaderno con la copertina di Dragonball rompono la sua calma. "Nonno, nonno, mi spieghi come si fa la scomposizione in fattori primi?"

   Mancano circa 24 ore al mio esame ed io ho appena finito il programma. Non avrei mai voluto arrivare a questo punto, ma è stato inevitabile. Se non hai buone basi, in poco tempo puoi fare molto poco. Chiudi il libro sperando che basti, uno sguardo all'orologio. I seggi sono chiusi da un bel po', dovrebbero già essere a buon punto con lo scrutinio.

   Iato. Aiuto. Taglio. Lui. Amato. Stravaccato sulla poltrona di finta pelle e con i piedi sulla scrivania, lui gioca al cellulare e neanche si informa. Lo sa già. E' un po' triste, ma lo sa, non potrà arrivare ai livelli dei grandi, neanche stavolta. Qualcuno grida per strada, una porta sbatte. Il grido continua, dice qualcosa, sale le scale faticosamente ed irrompe nell'ufficio. "...E'...incredibile...siamo primi." "Ma cosa stai...?" "Siamo primi. E non sono exit poll.". Il cellulare gracchia un gong e la partita finisce.

   Nessuno se l'aspettava, nemmeno loro. Il Partito dell'Amore Fraterno era al 68%. Avevano stravinto, e per sbaglio. Era uno di quei partiti senza coalizione, uno di quei tanti piccoli partiti di nicchia, di lista, fuori dai grandi gruppi, uno di quei partiti in calce alla scheda, uno di quelli che non vede nessuno. Questa volta l'avevano visto tutti. Lo avevano votato. Avevano vinto.

   Il nonno spiega la scomposizione al nipote e scopre anche lui la grande novità. Non se lo aspettava. Nessuno se lo aspettava. "Beh, che cosa curiosa." pensò, per sorridere senza troppo dispiacere.

   Le bandiere e gli striscioni per i corridoi fanno festa a morto. I sigari sono finiti, mentre piano una lacrima scende. "Cosa, cosa abbiamo sbagliato questa volta?" "Non lo so. Ci abbiamo provato.". Un giovanotto impettito nell'altra stanza si poggia al muro, con la faccia un po' dispiaciuta. "Se avessi vinto io, magari ce l'avremmo fatta. Ma che importa, ora, che importa ormai?"

   Una calca di giornalisti affolla lo studio, mentre il leader del Partito dell'Amore Fraterno li guarda senza parole con la bava alla bocca, come se fossero alieni. Cissy87 continua a mandargli messaggi perchè non si sbriga a fare l'ultimo turno, incosciente di aver giocato una partita con il nuovo presidente del consiglio. "Noi...aiuteremo l'Italia...ad uscire fuori dalla...crisi.", balbetta, mentre pensa: "Forse avrei dovuto fare il ballerino.".

   "Ah, lo sapevo che avrebbero vinto loro! Scopa!" "Bah, io non gioco più.". Il circolo Aldo Moro ha esaurito i discorsi e solo uno tra loro aveva votato il Partito dell'Amore Fraterno. Non se lo aspettavano neanche loro. Si guardano, come bambini, dopo tanto tempo per la prima volta quelle due parole affiorano alla mente. Non venivano fuori dai 5 anni dopo la pensione, finchè il custode non le ufficializza di sua stessa bocca. "E ora?"

   Il bar è tutto pieno. Nessuno parla, nessuno sa parlare. E' come se su ogni giornale, su ogni foglio fosse scritto quel dubbio atavico, quella frase che si diceva da bambini e che non piace dire a nessuno. "E ora?" 

    Un uomo con il pastrano e una valigetta cammina a passo svelto verso l'aereoporto. Occhiali da sole e un berretto in testa, non gli piace farsi riconoscere. "Un biglietto per l'Alaska." "Ma lei...è..." "Io sono un uomo che va di fretta. Alaska." si ficca una mano nella tasca del pastrano e porge al bigliettaio una banconota verde. Il bigliettaio fece il suo lavoro.

    Il nuovo premier non sapeva a chi rivolgersi. Chiamò il commercialista, l'avvocato ed il notaio. I ministri sarebbero stati anche loro, lo avrebbero aiutato, anche stavolta, gli amici di sempre, che lo avevano visto anche ubriacarsi fino a vomitare. Qualcuno pronto a fare il ministro si trova.

   Fu così che un uomo solo e i suoi amici si trovarono l'Italia in mano. E pensare che loro volevano solo sistemarsi il mutuo.

sabato 9 febbraio 2013

Diciamo.

    Davanti a milioni di persone che aspettavano solo lui, fece una cosa che nessuno aveva mai fatto. Proprio a San Pietro, il simbolo della cristianità, fece qualcosa di eclatante per la lotta contro l'AIDS. Non che non sia sensibile alla lotta contro l'AIDS, ma diciamo che, se sei sotto esame, non te ne frega un cazzo.

    Spegni la radio, ti guardi allo specchio e ti rendi conto che è da un po' che non ti fai i capelli. E' stata una strana idea quella di farti crescere i capelli. Dopotutto, sei un tipo che va in giro così come esce dal letto, chiaramente non prima di essersi lavato le orecchie, le ascelle, gli intimi, ma lo shampoo tutti i giorni non si può fare. Te lo sei fatto ieri sera lo shampoo, anzi, ti sei fatto proprio la doccia, e stamattina con quei capelli sembri uno scoppiato, ma diciamo che non te ne frega un cazzo.

    Raccogli una maglietta dalla sedia dell'Ikea indefinitamente adibita ad armadio, controlli se puzza, la butti nella cesta delle robe da lavare e ne prendi un'altra. Il felpone non puzza, non puzzano nemmeno i jeans. Se sei un maschio sotto esame, qualsiasi cosa indossi va bene, l'importante è che non puzzi. Ti guardi allo specchio, quella felpa con quel lupetto non è molto abbinata, ma diciamo che non te ne frega un cazzo.

    Fa freddo, la gente sorride, la gente ti sorride e tu sorridi alla gente. Poi c'è il barista pelato che chiama tutti "Lillo" o "Lilletto", indipendentemente da quale sia il nome delle persone a cui si rivolge, e che ogni volta ti chiede se vuoi un cappuccino. Il cappuccino non lo vuoi mai, non lo digerisci, ed ogni giorno ti chiede se vuoi un cappuccino. Caffè, e poi una di quelle cose che chiamate "danese".

    Addenti il danese congelato, ricordandoti che se chiedessi di riscaldarlo, ti ritroveresti senza apparato digerente. E' buono il danese, anche se sei sicuro che se venisse un danese a fare colazione e gli diceste che quella roba lì la chiamate "danese", sono sicuro che il danese vi riderebbe in faccia, senza pensarci troppo farebbe una foto al danese e la metterebbe su Instagram con l'hashtag #stupiditalians. Diciamo, però, che non te ne frega un cazzo.

   Macchiato, grazie. Il caffè macchiato è perfetto nel modo in cui deve essere fatto. Un caffè ristretto, concentrato, schietto, con una sottile schiuma sopra in cui si versa una goccia di latte possibilmente tiepido. E' così che si fa il caffè macchiato. Il caffè macchiato non lo concepisce, il barista. Il caffè macchiato, ahimè, per lui è il caffè concentrato e stretto con un cucchiaio di schiuma di latte sopra. Non è caffè macchiato, non è niente di ciò che desideravi, ma diciamo che non te ne frega un cazzo.

    Torni in stanza a studiare, a fare tanti esercizi, che l'esame è tosto. Tu sei preparato, sei preparatissimo, pronto a tutto, qualunque cosa. Potrebbe venire immediatamente il professore con il compito e dirti di farlo in quel momento, l'avresti fatto senza fiatare. Se non lo passi tu, che ti piace pure la materia, chi lo dovrebbe passare?

    Ti svegli quella mattina, non fai colazione, che ti tornerebbe alla gola facendo diventare l'esame uno strano film di Tarantino. Fai come hai fatto per i test, vai al bar e compri un pacchetto di caramelle alla frutta, è quella la colazione. Zuccheri, solo zuccheri. Una bottiglia d'acqua, anche, che non si sa mai. Sei gasatissimo, te lo senti dentro di potercela fare. Incontri i colleghi, tutti in ansia. Quale momento migliore per sdrammatizzare, fare un po' il coglione?

    Fai le tue battute migliori, quelle improvvisate, loro ridono, e ridi anche tu. Sei tranquillo, non sei mai stato tanto tranquillo, stai alla grande e ti senti davvero davvero in grado di fare qualunque cosa. Dacci dentro, figliolo. Lo stomaco borbotta per la fame. Hai bisogno di zuccheri, cacci fuori il pacchetto di caramelle, lo apri e ne mangi una. Non sanno di frutta, non sanno di nulla, non sanno neanche di zucchero. Riprendi il pacchetto dalla tasca, lo guardi bene, e sulla confezione troneggia in un enorme rettangolo azzurro cielo la scritta "Senza Zucchero". Diciamo, però, che non te ne frega un cazzo. 

    Inizi a scrivere e l'esercizio non esce. E' facilissimo, si vede che è facile, ma non esce. Una radice quadrata negativa non significa niente. Rifai tutti i calcoli, niente da fare. L'orologio segna quaranta minuti allo scadere del tempo. L'adrenalina sale dappertutto e inizi a scrivere quanto mai avevi scritto. Tre esercizi risolti in sei minuti. Mai così forte. La scossa è finita e sei provato. Continui a scrivere, ma sai già che più di questo non puoi fare. Hai buttato il tempo iniziale, dovevi starci di meno. Giù le penne, e borbotti un breve turpiloquio che puoi sentire solo tu.

    E'andato ormai, non puoi fare nulla. Hai fatto ciò che potevi, solo per quel tempo iniziale, ti sei fregato allora. Cammini da solo, vorresti spaccare i lampioni, trovi due colleghi che ti raccolgono dal tuo sfogo del momento. Scherzano con te, anche loro pensano di non aver fatto il massimo. Va tutto bene, anche se non va tutto bene. Facciamo finta che sia andata bene, facciamo finta che ce la faccio. In fondo hai fatto il resto bene, hai fatto ciò che potevi, ti sei sforzato tanto. Quella scossa lì, poi, è stato il massimo. Torni a casa e non sai cosa fare.

    Aspetti cercando di controllarti, e ti viene non sai cosa. I colleghi arrivano, perchè ti hanno visto andar via di corsa, gli spieghi tutto. Non sei andato malissimo per loro, si può fare, si può fare ancora. Si può fare ogni cosa. Ma diciamo che ora non te ne frega un cazzo, tachipirina e dormi per un'ora e mezza.

   Ti alzi, studi un po', non più di tanto. Continui nonostante la tua vita sia cambiata, non è il liceo, non è l'interrogazione di filosofia, non è il compitino di matematica. Stai studiando roba seria, ormai. Sei diventato grande. Potrà farti stare male, potrà essere dura. Tu lo sai, però, lo sai che non c'è niente di più fico. Lo sai che il tuo tempo migliore lo stai vivendo adesso. Tu lo sai che ogni cosa che studi, la studi per il tuo sogno, per il tuo futuro. Lo sai di potercela fare, lo sai di volere ciò che vuoi e di non volere altro.

   Ti alzi e continui a studiare, nell'attesa. Lo sai di aver fatto il massimo, di non aver potuto fare di meglio in quel momento, sei stato grande per davvero. Studi ed aspetti che esca il foglio degli ammessi, sempre connesso su Facebook aspettando il coglioncello di turno che annunci al mondo la grande notizia, sperando che la sua trepidazione possa salvarlo. Ed in effetti è così.

    Diciamo, però, che di lui non te ne frega un cazzo.