domenica 7 luglio 2013

Fischio.

       Sono da sempre stato attento ai dettagli, di ogni cosa. Quando parlo con una persona guardo ogni cosa, con piccoli sguardi innocenti, inconsapevoli e curiosi di ciò che a qualcuno sfugge. Il neo all'angolo della fronte, l'altro immerso nei peli delle sopracciglia, il naso con dei puntini a forma di triangolino, le mani piccole, la faccia tonda come una biglia, il bottone scucito, la macchia di grasso di motorino sui pantaloni, il mento a forma di culo.

       Parlando con qualcuno osservo molte cose, e se mi sta antipatico mi piace cercare quei tratti che provano indiscutibilmente il fatto che abbia in comune il 99 per cento del suo genoma con uno scimpanzè. Mentre parla, apre ritmicamente la bocca, ragiona e emette vocalizi da quella voragine dietro i denti dalla forma strana. Senza star troppo a giudicare, mi basta aver visto un paio di tratti, ed ecco, un paio di sue fotografie mentre si trova allo stato primordiale maneggiando noci di cocco e facendo cose strane con le foglie degli alberi di banana. Il tutto si svolge in poche frazioni di secondo, impercettibilmente, con il minimo sforzo, non perdo neanche il filo del discorso. Il risultato è anche piuttosto realistico, nonchè sadicamente divertente.

      Non ho un'ottima vista, dato che ho bisogno degli occhiali, ma sicuramente ho un gran senso dell'udito. Funziona più o meno come con i dettagli visivi, io cammino, parlo, vivo, e nel frattempo molte cose mi entrano nelle orecchie. Riesco a sentire cellulari che vibrano nelle borse, orologi che ticchettano, non ho neanche bisogno di concentrarmi, è una cosa che mi risulta molto naturale. Sorprendo me stesso ogni giorno di più, qualche volta per farlo mi ci metto davvero d'impegno, ed anche questo è abbastanza divertente. E' bello poter ascoltare, fermarsi un momento, concentrarsi un po' e sentire il mondo scorrere nei piccoli suoni dimenticati dal resto del mondo. Il garage che si apre, l'uccellino che cinguetta, una risata fragorosa, una porta che sbatte, gente che grida in dialetto, Marta che saluta tutti e va a lezione.

      Uno strano fischio fisso e continuo. Sbatto la mano al muro e lascio che la luce della plafoniera mi bruci la retina. Poggio i piedi, scivolano sui granelli di polvere del pavimento che non pulisco da circa una settimana. Osservo l'ammasso granulare fluido di cose colorate pendenti, butto le mani sugli occhiali, incurante di insozzare le lenti con le dita, ed ecco la sedia girevole che non gira più per il carico di vestiti granulari fluidi. La notte chiudo gli occhi, mi dimentico del tumore che aggredisce la sedia e lo ritrovo il mattino dopo, ingiallito dalla plafoniera perentoria. Mi chiede pietà, o forse no, forse è solo questo strano fischio fisso e continuo.

      La radiosveglia infernale emette le sette di un rosso che non ho mai sopportato, mi guarda insensibile e mi giudica. Il suo colore arriva alle mie orecchie e le fa fischiare, mi fischiano le orecchie. La porta scatta morbidamente con un suono ovattato. Le radiosveglie non giudicano, le sedie girevoli non chiedono pietà, sono solo io che di colpo non ci sento più bene. Mi aggiro in bagno con la testa in una bolla d'acqua, la fiatella secca mentre tutto è ancora più vaporoso per colpa degli occhiali sporchi. Non ci sento più e la cosa non mi piace.

      Riempio lo zaino di libri, riempio la valigia di libri e di qualche vestito, agguanto la maniglia   della valigia e sbatto la porta. Il sole secco mi sputa addosso l'estate che mi rifiuto di raccogliere, striscio via con i miei bagagli pesanti cercando di raggiungere le mura di casa. Il pullman è alle 11 ed ho avuto tempo di fare ogni cosa, seguito fedelmente dal mio nuovo amico fischiante nelle orecchie. Come se non bastasse l'esame di biologia.

       Sono le 9, il sole è alto, non c'è una nuvola, la gente va al mare ed io sono stanco. Mi faccio agitare sulle strade di mollica dura dal bus che porta alla metro, il fischio balla con l'autobus, lo sopporto con le braccia incrociate sulla valigia e il mento poggiato. Dopo una ventina di minuti di capoeira, il fischio dei freni si unisce a quello delle mie orecchie. L'autobus sbuffa e vomita fuori tutti quanti, me compreso. Mi fermo un momento solo, e il fischio continua a vegliare su di me e dentro di me. Asciugo il sudore e andiamo io e lui sulle scale della metro. Sono le 9 e 30, sono nervoso e sono stanco.

      La gente parla, i rumori affollano, non sento davvero più nulla e non capisco perchè. Mi accomodo sul sedile e mi sistemo con le braccia sulla valigia. Un gruppo di anziani allegri popola il vagone. Si parlano, ed è tutto un circolare di mugugni e colpi di tosse, accompagnati nelle mie orecchie dal fischio. "Dove?" "Ba......i!" "A che si sce..e?" "Ba...rini!" "Eh?". Sempre gli stessi versi e mugugni finchè tutti non ricevettero e compresero correttamente l'informazione. Sale il nervoso, non sento niente, non che mi interessi di loro, ma ogni rumore si infila dentro le mie orecchie sature del fischio, ogni rumore sbatteva insieme a quel maledetto fischio, senza che potessi comprendere nulla.

      Un accattone con lo zaino e le scarpe rotte chiede senza troppa insistenza. Agita la mano vuota che non fa che riempirsi d'aria per tutto il percorso. Arriva dai vecchi e uno di loro dice qualcosa. Gli altri ridono. L'accattone agita la mano, agita il dito e diventa serio. -Noi...Kosovo...nazione...-, mi rifiuto di guardare la scena e mi arrendo ai suoni che non smettono di infastidirmi. -Ahahahah!- -Nonono, noi.......zione fiera.....Kosovo....memoria......storia....- qualcuno mugugna e gli altri ridono. Il vagone intero fissa la scena, e come lo stolto guardo le dita che puntano alla Luna.

      Mi abbandono al sedile e dò un senso al biglietto che ho stampato porgendolo al controllore. Siede vicino a me, il mio insistente compagno, e non mi lascia in pace. Il pullman parte, ed improvvisamente accade qualcosa che non avrei immaginato. Il fischio inizia a piacermi. Ascolto il fischio, ed il fischio è bello. E il mondo scorre, la gente davanti parla di cose strane che finalmente riesco a non sentire. Percepisco poche parole, -...stupro...galera...che si aspetta adesso che esce di prigione?-, storie curiosissime di cui improvvisamente non mi importa niente.

     Per la prima volta, non ho intenzione di ascoltare il mondo e del mondo non mi importa nulla. Il fischio è mio amico, ed è bellissimo. Mi abbandono piano alla sua compagnia, la testa piegata, mentre il mondo cerca disperatamente di entrare dalle mie orecchie. Chiudo gli occhi e ascolto il canto insensato del mio nuovo amico, che sublimamente respinge tutto ciò che mi circonda. Storie bellissime, di un uomo che fischia, cammina e fischia. Arrivo in piazza e trovo una mia amica. Amica mia, come stai? Male, sto male, mi hanno trovato il gene della calvizie! Calvizie? Si, calvizie! Guarda come sono calva! Cavolo, meglio andar via, inizia a piovere.

     Un goccio di saliva piove dalle mie labbra sulla spalla e il Vesuvio a sinistra oltre il vetro. La faccia intorpidita, eppure qualcosa manca. Le signore davanti parlano dell'albergo con la piscina, e dietro di me un ragazzo parla della macchina che si è sfasciata. Dove sei, amico mio? -Ma cosa...?-. Ecco. Il mio nuovo amico. Il fischio è andato via, per lasciarmi in compagnia del mondo e della mia voce, chiara e tonda, finalmente ci sento bene.

     Stranamente, inizio ad odiare il mio udito. Sto sentendo di nuovo, sto sentendo tutto. Sto sentendo tutti i cazzi della signora davanti, sto sentendo il rombo del motore, il vecchio che tossisce, quello di dietro che ascolta musica house. Il mondo aveva ucciso il mio amico, ed aveva ripreso possesso del mio orecchio, lo aveva fatto mentre dormivo, in un fiume di cose di cui non mi importa nulla. 

     E' bello ascoltare, ma ogni tanto è bello anche smettere di farlo. E' bello riprendere se stessi, non ascoltare nulla se non se stessi. Abbiamo paura di questi momenti, dei momenti in cui il mondo sembra rifiutarci, dell'orrore dei momenti di solitudine. Ci aggrappiamo a qualunque appiglio pur di non sentirci soli, pur di non restare da soli. Siamo disposti a ridere con gente che non sopportiamo, a buttarci in fiumi di alcool, in posti in cui la musica è così alta da sovrastare ogni cosa.

     Ed ogni tanto accade, qualcosa dentro di noi cerca di riprendere la nostra attenzione. Il nostro io, che trattiamo così male, di cui detestiamo la compagnia, ci chiude in casa e ci costringe a stare con lui. Ma in fondo, non è male restare con se stessi. Il giorno dopo ho staccato internet. Non volevo sentire più nessuno. Ho chiuso Facebook, non ho più aperto Whatsapp, ho preso un periodo solo e soltanto per me.

     Stanco dei valzer di proteine, mi sono steso sul letto e ho cercato il mio amico. Il fischio, era tornato. Ed io l'ho abbracciato.

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