sabato 8 dicembre 2012

Supposta.

   Tutti sono d'accordo, non c'è bisogno neanche di parlarsi. Ognuno pensa ai fatti suoi, guardando ciò che vuole guardare, aspettando in silenzio che tocchi a lui. C'è chi freme, c'è chi sta per chiudere gli occhi, c'è chi ascolta musica orribile indossando cuffie da metalmeccanico, ma tutti, tutti quanti hanno nelle loro tasche dei biglietti non timbrati. Lo sanno, sanno bene che se entrasse il controllore farebbe affari d'oro, eppure nessuno sembra così spaventato all'idea. Evidentemente, i controllori non vengono pagati in base al numero di multe che fanno. Meno male.

    Non c'è posto e mi tocca stare in piedi. Agguanto il palo rosso ancora tiepido della mano di un passeggero appena sceso, vicino alla porta del bus, cerco con lo sguardo l'insegna della metropolitana. Non ho mai preso questa linea, sono da solo, ma per fortuna non è tardissimo e la zona è tranquilla. Le querce e i lecci scorrono dietro i finestrini a destra e a sinistra, coprendo le piccole luci adiacenti dei negozietti che nel sabato sera hanno la loro fortuna. Il ristorante cinese, il fioraio, la cioccolateria, il panificio con il forno abusivo che dalle 11 di sera fino al mattino sforna e vende cornetti alla crema a 20 centesimi l'uno.

    Un papà stanco guadagna la catarsi di un'intera settimana tenendo suo figlio sulle spalle e stando dietro a sua moglie che si ferma ad ogni vetrina per vedere ogni cosa esposta, anche il faretto che illumina il tutto, bruciando energia in onore del dio denaro. Sabato sera nei quartieri residenziali, con le lucine più brillanti e più colorate man mano che ci si avvicina al centro. Salgono sette ragazze seguite da un ragazzo, tutte in tiro per andare alla pista da pattinaggio. Beato tra le donne, oppure tanto sfigato da averne tante attorno e non averne nessuna.

    Il freddo penetra nel colletto del giubotto, arrestandosi al bordo del lupetto. Mani in tasca, mi stringo e scendo le scale. Un fiume di vite umane, arrivate a destinazione o pronte a partire, biglietto alla mano. Qui non si può fregare, che ci sono le telecamere, non c'è nemmeno bisogno del controllore. La macchina succhia il biglietto selvaggiamente, gracchia e lo vomita fuori sbloccando i tornelli per qualche secondo. Riprendo il mio biglietto, lo immergo in tasca e corro nel vagone in coda.

    Lascio che il sedile di plastica mi accolga, mentre il treno viaggia come una supposta nell'intestino dei tunnel della metropolitana. Qui non c'è più niente da dirsi. Ci si ritrova costretti nello stesso posto, senza avere nulla da guardare, nulla da fare se non aspettare e guardarsi a vicenda, mentre qualche televisorino cerca inutilmente di rompere il ghiaccio trasmettendo candid camera scelte a caso da Youtube. Ci si toglie dall'imbarazzo semplicemente facendo finta che l'imbarazzo non esista, facendo finta che quello di fianco non sia così grosso, che non puzzi di sudore acre, facendo finta che si sia appena lavato. Se proprio non funziona, allora facendo finta che in realtà sia l'orsetto dell'ammorbidente. Non tanto perchè è morbido e coccoloso, quanto perchè almeno l'orsetto dell'ammorbidente sta zitto.

    Una bellissima ragazza è seduta davanti a me. Ascolta musica con degli auricolari bianchi ed è un po' triste. Chissà a cosa pensa. Nella mia tranquillità, cerco il suo sguardo per abbozzarle un accenno di sorriso. Un sorriso sarebbe troppo, aumenterebbe l'imbarazzo. Basterebbe uno sguardo per cercare di dirle: "Ehi, Dio mio, su con la vita!", ma non vuole, non vuole proprio, vuole stare giù con la vita. Peggio per lei, anzi no, quel musetto triste la rende anche più carina.

    "Guarda, Cesare, non sai che settimana. Non ce la faccio proprio più, sto soffrendo troppo. I ragazzi volevano vedersi con gli amici a casa mia, e quello stronzo è stato capace di farmi storie anche per questo fatto...non lo voglio più vedere!"
   
   Entra nel vagone un tipo scalzo. Mostra al vento i polpacci olivastri sporchi di qualche pelo qua e là. Indossa un impermeabile sporco e passa davanti a tutti scuotendo la mano aperta. Ha uno zaino rattoppato sulle spalle, da cui spunta fuori la testa di un peluche di Pimpi sporco di qualcosa. Guarda il mondo con aria triste e si gira ogni vagone. Il copione è così trito e ritrito che non sorprende più nessuno. Sembra uscito fuori da un film di Gabriele Muccino. Ognuno ha i suoi guai, però, ognuno ha troppo da pensare per poter pensare anche a lui.

   Ogni volto si immerge nell'imbarazzo collettivo indossando la maschera triste dei propri guai, aspettando che il treno arrivi a destinazione. "No, Cesare, no. Tu non vuoi mai ascoltarmi, tutte le volte che ti chiamo fai sempre finta di niente, vuoi sempre chiudere lì...ed io mi sto sentendo male, che sono claustrofobica e tra poco vomito, mamma mia..."

   Un asiatico si regge ad un palo vicino alla porta del vagone. Ha gli occhi rossi e sembra che non sia in forma. Batte i minuti tirando su con il naso, finchè una folata di vento non lo fa starnutire in testa alla ragazza seduta vicino a lui e immersa nei sudoku. Fatto il lavoretto, esce lasciandosi alle spalle la ragazza che cerca approvazione guardandosi intorno. Aveva fatto qualcosa di schifoso quel tipo e con gli occhi diceva "Ma che maleducato, no?". Guarda anche me, ed io alzo le spalle rispondendo con gli occhi "Che ci puoi fare? Ormai è andato via.".

    "Mamma, mi sento male, Dio mio, Cesare mi sento male". Guardo la signora che parla al telefono con Cesare in persona e faccio per alzarmi per farla sedere. Mi vomita in faccia un "No, no, grazie, davvero, bene così." Scende e si porta dietro Cesare e il suo telefonino. Scende anche la ragazza triste.

    Sono lì e li guardo. Penso che i simpatici personaggi di quel simpatico vagone andranno via e non li vedrò mai più. Non chiederò mai alla ragazza triste di uscire, non saprò mai se il sudoku dell'altra era uscito, nè se l'asiatico le ha passato l'influenza. Non saprò mai se il ciccione si è lavato, nè se Cesare ha deciso davvero di chiudere con la tipa claustrofobica. Eppure, in fondo nessuno può ignorare l'altro. Non si può fare a meno di cercare con lo sguardo di sfogliare i guai di ognuno di loro.

   Sarà per questo che ci si sente in imbarazzo, in metropolitana. Si cerca in se stessi la soluzione ai propri problemi, e si cercano magari quelli degli altri, per vedere se sono uguali ai nostri. Il tutto, tra sguardi furtivi, curiosi, che cercano di non farsi vedere, non per malizia, magari solo per noia. Vorrebbero tutti sfogarsi, lasciare uscire il fiume in piena contenuto dalla diga del buonsenso e del sacro "non dire i fatti tuoi a nessuno".

   Dopo qualche minuto, ci sono quasi simpatici un po' tutti. Eppure andranno via da un momento all'altro, entreranno per sbaglio in qualche minuto della nostra vita e non si faranno vedere mai più, di punto in bianco. I destini di tutti si incontrano, e si allontanano in punta di piedi, senza far rumore, senza definire nulla.

    Ognuno siede di fronte all'altro aspettando che la propria vita prenda la piega giusta.

Nessun commento:

Posta un commento