mercoledì 29 agosto 2012

Non ci pensare.

    Non ho mai creduto alla favoletta del desiderio delle stelle cadenti, nè ci crederò mai. Sono semplicemente dovute al fatto che la Terra, mentre gira, ogni tanto qualche cosa le si sbatte sopra. E' come un tipo che gira per strada e lo prendono a sassate. Ecco, non è che per ogni sasso che prende esprime un desiderio. Figurati se è contento uno che lo prendono a sassi mentre cammina. Eppure, le stelle cadenti restano qualcosa di spettacolare. Non smetterò mai di stupirmi ogni volta che ne vedo una, di esultare per aver visto qualcosa che in fondo tutti vogliono vedere, ma che proprio io ho avuto l'occasione di vedere e di dire "L'ho vista!".

    Un giorno di questi mi ritrovo a mare in buona compagnia. Cioè, una notte di queste. Non siamo molti, ma stiamo bene, a fissare questo cielo pulito, pieno di puntini bianchi uno più diverso dall'altro. Io mi sentivo un idiota, in fondo, a stare in costume su una sdraio da spiaggia con il collo piegato a guardare il cielo, ad aspettare che accadesse qualcosa. Di colpo inizio a sentire l'odore del mio stesso alito, mi accorgo di avere anche la bocca aperta e di aver mangiato troppa pizza. Ogni tanto, uno dei miei compagni di notte diceva di aver visto una stella cadente. Non riuscivo a vederne nessuna, così, un po' scocciato, inizio a cercare il Grande Carro.

     Le stelle cadenti sono roba da dilettanti. Il Grande Carro è roba seria. Ecco, tutti possono dire di aver visto una stella cadente, ma solo quelli più fichi hanno trovato il Grande Carro. Di colpo, i miei amici vicino a me dicono di averlo visto, ma ancora io non riesco a trovarlo. Una di loro me lo spiega, mi dà le istruzioni, ma a quanto pare sono proprio impedito. Niente.

     Quella sera doveva essere una sera come le altre, una nottata tra amici, eppure era diventata quasi per caso una specie di festa per i miei 18 anni. A me non piace fare feste, eppure, così come si stava svolgendo, mi rendo conto che era proprio come la desideravo. Con due giorni di ritardo, senza vestiti eleganti, senza fuochi d'artificio, senza discoteca. Poche persone, senza molto disagio, un evento come un altro, più in sordina di tutti gli altri, senza disturbare troppo. Si fa pipì tra le dune, le ragazze senza trucco, tutti a parlare a ruota libera con una torcia cinese comprata all'edicola a 5 euro in più con il giornale. Una serata perfetta, buttati lì, quasi alla fine dell'estate, tra problemi più o meno zittiti.

    Potevo sentire che ognuno seduto intorno a quella torcia scema aveva almeno un motivo per mettersi a piangere, lì, su due piedi. Eppure stavamo tutti a parlare del Grande Carro, a tirare le somme di 5 anni interi, a passare una serata insieme e, in fondo, a scordarci (me compreso) che avevo fatto 18 anni. Pensieri malinconici volavano tra un discorso e l'altro, tra una risata e l'altra, sulle nostre teste, tra una chioma a onde castana, dei ricci neri e altri ricci castani, due code di cavallo, un ciuffo ribelle e il mio casco stile pupazzetto Lego. Potevo vederli chiaramente. Avrei voluto alzarmi in un momento di pausa e piantare un cartello con su scritto "Non ci pensare, almeno per stasera.".

    Non ci pensava nessuno, e ci pensavano tutti. Non puoi farci niente, ad un certo punto, immagino. I pensieri tristi diventano di routine, come le mosche sulla cacca. Ma per quella sera, almeno per quella sera, io mi imponevo di non pensarci. Sarebbe stata una battaglia persa, come quella della balena arenata che vuole tornare in acqua, eppure volevo provarci.

    Così, mi ritrovo, tra un pensiero e l'altro, a mangiare mezza pizza avanzata da qualche ora di fronte agli occhi malinconici dei miei compagni. Mi guardavano stupiti, in fondo anche divertiti. Chissà se potevano capire cosa volessi dire, perchè stessi mangiando altra pizza alle 3 di notte, perchè stessi correndo poco dopo in acqua alle 3 e mezza di notte, con le mani alzate come Giucas Casella. Era il mio modo per dirlo, "Non ci pensare", un messaggio per tutti. Sì, per un momento uno di loro non ci ha pensato, e mi ha seguito. Per fortuna, dal quel momento mi è sembrato che un po' tutti ci pensassimo di meno.

    Fuori dall'acqua, altra pizza, e qualcun'altro la mangia con me. Qualcun'altro ingoia pensieri a morsi di pizza fredda, decide di non pensarci. E infine, finalmente, non ci pensiamo più, pensiamo solo a passeggiare in riva al mare che sbava sulla spiaggia. Passeggiamo tutti.

    Adoro la notte, adoro questa notte.

    Arriva il momento in cui si smette il liceo. Questo è anche sopportabile, arriva, però, il momento che da bambino non ti aspetti quasi mai. Il momento in cui una tua compagnia così assidua, così frequente, tanto da darla per scontata nella tua giornata, prima o poi va via. Ed è sopportabile se questa compagnia è l'elenco dei libri, la campanella, la bidella che puzza di fumo, il tipo impettito e insopportabile che mette cravatte orribili ed è fiero della sua posizione di Professore di qualcosa di definibile solo come "Alligalli".

    Di lì a poco, noi che stavamo lì ci saremmo separati, quello non era sopportabile. Tornare ai propri pensieri, alle proprie navi in partenza. Ed in fondo, il pensiero di tutti era di allungare quanto più fosse possibile quella serata, quella notte, quelle ore insieme a non fare niente. Mangiare via dal resto qualche minuto in più, qualche ora in più, andarsene via un po' più tardi, tenuti insieme dallo stesso tacito proposito.

    Eppure si va tutti quanti via, prima o poi. Chi prima, chi dopo, si va via tutti. Anche le stelle sarebbero andate via di lì a qualche ora, eppure non mi sarei stancato di guardarle. Eppure quella sì che, dopo tanti mesi, era una serata perfetta. Non credo che riuscirò a dimenticarmene.  Nessuno di noi lì se ne dimenticherà, come nessuno si dimentica di nessuno. Tutti vanno via, eppure non dimenticano ciò che lasciano, sanno già che prima o poi ci faranno ritorno. Sanno già che sarà uno dei loro pensieri in un momento più triste degli altri, quella bella serata, quella simpatica compagnia, quegli amici che lì non c'erano, ma da cui ci si è separati, ognuno i suoi.

    Un giorno, amico mio, amica mia, che vai via così, un giorno in cui sarò triste, guarderò le stelle e saprò di non essere solo. Saprò che non mi hai dimenticato, come io non mi dimentico di te. Saprò questo, anche se saremo lontani, e in un brutto momento mi aiuterà a stare meglio, sapere che anche tu, almeno una volta, hai pensato a questo. 

     Ci vediamo sulla spiaggia.

Nessun commento:

Posta un commento